Animali in cerca d'adozione

SOS dal mondo del volontariato

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  1. mikra
     
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    Dedicato ai randagi: "Vita da canile"

    Si chiama così uno splendido libro fotografico edito dal Fondo Amici di Paco. Date un'occhiata all'articolo per saperne di più....


    "Vita da canile" è un libro di splendide immagini scattate all’interno del canile di Ponzano Veneto nell’arco di tre anni. Immagini che denunciano l’ingiustizia dell’abbandono, accompagnate da testi che riproducono le sensazioni dell’autore e fanno riflettere. Immagini bellissime, toccanti, poetiche, che vanno dritte al cuore.
    Non c’è solo sofferenza, dietro gli occhi di questi protagonisti, ma tanta speranza e ancora, incredibilmente, fiducia nell’uomo. Dedicato a tutti coloro che per paura non hanno mai messo piede in un canile, ma anche a coloro che, con indefessa volontà e immane sacrificio, dedicano la parte migliore di se stessi, giorno dopo giorno, ad alleviare la solitudine, la paura e la disperazione di tanti cani rifiutati dai loro padroni e gettati come scarpe consumate. Vita da canile è un libro fondamentale per capire una realtà a cui a volte per distrazione o indifferenza non si pensa.
    La vendita va devoluta al Fondo Amici di Paco per aiutare i cani ospitati nei rifugi.

    L'AUTORE
    Fausto Carmignotto quattro anni fa ha abbandonato la sua attività professionale per dedicarsi alla fotografia. I suoi temi preferiti sono a carattere sociale: documentare realtà sconosciute o ignorate, cercando di far affiorare dai suoi soggetti quei sentimenti che spesso l’occhio frettoloso e distratto non sa cogliere e capire. Vive a Castelfranco Veneto. Ecco cosa scrive Diana Lanciotti che ha fondato il Fondo Amici di Paco nella prefazione del volume...
    "Era il 29 febbraio del 1992. Un sabato mattina. La prima volta in cui mettevo piede in un canile. Ho avuto da sempre la fortuna, immensa, impagabile, di vivere con cani e gatti. Regalati, trovati, acquistati. Ma mai una volta avevo preso un cane dal canile.
    Bene, quella era la prima.
    La prima cosa che notai e mi saltò (devo dire proprio così) al naso fu la puzza. Un odore forte, penetrante, insopportabile, mai sentito. L’odore che da quel giorno avrei sempre associato al pensiero del canile, l’odore che ho ritrovato in tutti i canili che ho visitato nel tempo.
    L’odore della cattività. Della solitudine. Della sofferenza. Della paura. Della disperazione. La disperazione di cani rifiutati ed emarginati dal “civile” consesso umano, cani spesso senza futuro, speranza, amore. La disperazione degli umani, quelle persone meravigliose, i volontari che accudiscono i cani dei canili e cercano di risarcirli almeno in piccola parte del grande torto che qualcun altro ha fatto, abbandonandoli, cancellandoli dalla propria vista. Dalla propria vita.
    La disperazione e l’amore, misti alla speranza, sono le sensazioni che affiorano visitando un canile.
    Disperazione di non farcela. A trovare una nuova famiglia, a curarli, a sfamare a volte centinaia di cani, ai quali ogni giorno se ne aggiungono di nuovi, trovati vaganti per strada, portati con qualche scusa da un padrone crudele, scaricati di notte davanti al cancello, scaraventati all’interno come fossero spazzatura.
    Il canile è una discarica di cani, pensai quando entrai all’interno della struttura tutto sommato ben tenuta del canile. Lo pensai non perché ci fosse sporcizia, disordine. Ma perché, come appresi, i cani vengono scaricati come scarpe vecchie, buttati via quando non servono più; quando diventano vecchi, malati o comunque “scomodi”; quando tenerli con sé vorrebbe dire liberarsi della scorza di egoismo e indifferenza che spesso riveste noi umani.
    Un cane è un impegno, un cane non è un pupazzo che quando stanca si mette in un angolo, un cane non è una scarpa vecchia che, quando non fa più il servizio di quand’era nuova e lustra, si lascia per un po’ in fondo a un armadio e poi ci si decide a buttar via. E magari la si butta via, la scarpa, con più rimpianto di quando si abbandona un cane. Di quando si getta via un cane.
    Discariche di cani, quindi. Ecco che cosa sono i canili. Luoghi in cui ci si libera del proprio cane, lo si getta in mezzo ad altri rifiuti viventi, pensando che, magari, qualcun altro penserà a riciclarlo, dandogli una nuova casa, una nuova famiglia, una nuova possibilità. Oppure dove si pensa che “tanto qualcun altro provvederà”, perché, si sa, c’è sempre qualche pazzo che “non ha niente di meglio da fare che star dietro ai cani”. E quando si è persone impegnate a rincorrere i ritmi forsennati della nostra vita convulsa, perché mai dovremmo prenderci la briga di occuparci e di preoccuparci di un cane?
    E così i canili straripano. Straripano anche perché dal 1991 esiste (per fortuna!) una legge che impedisce di sopprimere i cani come invece veniva fatto prima. Prima un cane portato al canile, se non veniva reclamato dal suo proprietario o da qualcuno che volesse adottarlo, veniva soppresso dopo tre giorni. Senza tante storie, senza tanti distinguo: che fosse giovane, sano, che fosse un essere vivente, e come ogni essere vivente avesse diritto alla vita, non interessava più di tanto. La legge consentiva, anzi imponeva così. E così migliaia, milioni di cani negli anni sono stati eliminati. Spariti. Annientati. Così come prima erano stati annientati psicologicamente dall’abbandono, dal trovarsi tutt’a un tratto in un ambiente nuovo e molto meno confortevole di una casa, a doversi confrontare con altri simili non sempre del tutto amichevoli, venivano poi annientati fisicamente.
    Basta. Fine.
    E il mio Paco, il mio cagnolino che quel fatidico 29 febbraio mi accingevo ad andare a scegliere al canile di Verona (almeno così credevo: avrei scoperto solo dopo che sarebbe stato lui a scegliere me *…), è stato proprio uno dei primi beneficiari di questa nuova legge che, impedendo la soppressione dei cani nei canili, ha salvato migliaia e migliaia di vite, facendo sì, come contraltare, che i canili straripassero e molti versassero in condizioni di continua emergenza. Attenzione, non sto dicendo che andava meglio prima, per carità, sto solo rappresentando la situazione qual è diventata. E la colpa non è altro che di quelle persone crudeli e insensibili che abbandonano i propri cani. E’ solo e tutta colpa loro.
    Fatto sta che il mio Paco, se fosse capitato in canile anche solo qualche mese prima, dopo tre giorni sarebbe stato soppresso. E quel sabato mattina non l’avrei visto dietro le sbarre di quella gabbia, e la sua coda non avrebbe vibrato impercettibilmente, e i nostri occhi non si sarebbero incrociati e i nostri cuori non avrebbero preso a battere in perfetta sintonia.
    E adesso non l’avrei qui in parte a me che russa sulla sua brandina e quando si sveglia mi guarda, sorride e scodinzola.
    C’è da dire che, prima di trovarmi emotivamente incatenata davanti a quella gabbia, avevo visitato tutti gli altri box del canile. E, con un senso decrescente di incredulità, e crescente di rabbia e frustrazione, venni a conoscere le storie terrificanti che avevano portato quei cani, quei centocinquanta cani, a trovarsi rinchiusi in quel canile. Storie terribili di straordinaria crudeltà, di supremo egoismo, di vergognosa barbarie. Storie che mi lasciarono stordita, e mi fecero vergognare di far parte dello stesso genere, quel genere che di “umano” a volte ha proprio poco.
    Ecco, mi è bastato vedere le bellissime, struggenti fotografie di Fauso Carmignotto, perché mi venisse in mente tutto, perché mi ricordassi le sensazioni che ho provato la prima volta che sono stata in un canile, in quel giorno che ha cambiato la mia vita. Perché da quel giorno ho preso coscienza di una realtà che non conoscevo, e dopo aver scelto Paco (o essere stata scelta da lui) mi sono trovata a confrontarmi con enormi sensi di colpa nei confronti degli altri centoquarantanove cani che non potei portarmi a casa, e nei confronti di tutti gli altri che vivono reclusi in un canile.
    Ed è così che è nato il Fondo Amici di Paco: dalla voglia, dalla necessità morale di fare qualcosa anche per loro, per tutti i cani, e i gatti, meno fortunati del mio Paco. E dei vostri vari Fido, Lassie, Tommy. Bobby che, fortunati loro, hanno un divano su cui dormire, una ciotola sempre colma e una mano sempre pronta ad accarezzarli.
    E anche questo libro è un mezzo per aiutare il Fondo Amici di Paco: innanzitutto attraverso la sensibilizzazione e poi attraverso la raccolta di fondi da destinare ai cani e ai gatti senza famiglia.
    Ha di bello, Vita da canile, che pur rappresentando la dimensione non certo felice del canile, non è un libro triste, ma è un libro dolce, toccante, capace di far capire senza straziare. Dalle curatissime inquadrature che, volutamente, non denunciano apertamente ma suggeriscono, si può capire lo stato d’animo rassegnato di molti cani, oppure la loro voglia di uscire, la loro voglia di un contatto, di ritrovare l’atmosfera serena di una famiglia. Ma da altre inquadrature s’intuisce anche l’amore, lo straordinario amore e il sovrumano sacrificio dei volontari, e il loro incessante impegno a salvare dalla strada i cani e a farli sentire amati.
    Quando si parla di loro, dei volontari, si dice che si “prodigano” per gli animali. Bene, quel loro prodigarsi ha qualcosa di “prodigioso”. E non per niente le due parole hanno la medesima radice. E’ un prodigarsi disinteressato, dettato dall’amore, dove non c’è ricerca di gloria, di riconoscimenti, se non da parte della propria coscienza e da parte dei cani, che, guardateli nelle fotografie, esprimono la loro gratitudine con uno sguardo carico d’amore.

    VITA DA CANILE
    Vita da canile non è un libro che colpisce duro, non è un libro che fa soffrire ma, seguendo la filosofia del Fondo Amici di Paco che è di “persuadere con dolcezza”, senza pugni nello stomaco o immagini scioccanti rappresenta in modo egregio la condizione dei cani in canile. E fa venir voglia di fare, e ci fa capire che ciò che stiamo facendo va bene.
    Per tutti coloro che non hanno il coraggio di entrare in un canile, questo libro è un modo per conoscere una realtà che esiste, anche se a volte si vorrebbe ignorarla, non pensandoci o girando la testa dall’altra parte. Non dico che tutti dovrebbero andare in un canile per capire, ma basterebbe che molti sfogliassero le pagine di questo libro per sapere almeno che cosa significa, per un cane, non avere una famiglia ed essere condannato alla prigione a vita.
    E allora chiunque ami gli animali, attraverso questo libro, può non solo prendere coscienza di una realtà, ma può impegnarsi perché l’abbandono diventi un retaggio del passato, e i cani non debbano più essere costretti a essere rinchiusi in un canile.
    Concludo con un ringraziamento a Fausto Carmignotto, per aver deciso di destinare i diritti d’autore al Fondo Amici d Paco, consentendoci di aiutare tanti cani e gatti senza famiglia. Magari proprio quelli che vedete fotografati qui."

    *La storia di Paco è raccontata da Diana Lanciotti nei due libri Paco. Il Re della strada e Paco. Diario di un cane felice, n.d.r.

    (fonte: http://www.dognet.it/home/articolo.php?id=320)


    La copertina:
    Attached Image
    vitadacaniledog.jpg

     
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120 replies since 22/2/2005, 02:30   4341 views
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