[POESIA] Inno ad Afrodite

Saffo di Ereso, VI sec. a.C.

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  1. Lord Corkscrew
     
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    Saffo di Ereso
    Inno ad Afrodite
    VI sec. a.C.
    stile della poesia: melica monodica arcaica.
    metro: strofi saffiche minori (tre endecasillabi saffici + adonio)

    (fonti: vv. 1-21: Dionigi di Alicarnasso La Collocazione delle Parole, 173-179; Papiro di Ossirinco 2288; vv.1, 5, 4: Efestione Manuale 14, 1, pp. 43 ss. Consbruch)

    L'ode apriva in origine il primo libro dell'edizione alessandrina ordinata per metro dei carmi di Saffo, libro che conteneva tutte le sue composizioni in strofi saffiche. Si tratta dell'unica opera della poetessa lesbia giunta sicuramente nella sua interezza fino a noi e ci è stata conservata, oltre che per tradizione diretta dal papiro ossirinchita 2288, anche dal retore Dionigi di Alicarnasso, vissuto al tempo di Augusto, che così la introduce nel suo trattato sulla disposizione delle parole: "Citerò alcuni esempi di questo tipo di armonia elegante e fiorita, ricorrendo, per i poeti, a Saffo [vv.1-28]. La bellezza e la grazia di questa poesia risiedono nella rispondenza e nella levità delle armonie. Le parole stanno l'una accanto all'altra e sono unite insieme secondo certe affinità e raggruppamenti naturali di lettere [...]. E' perciò naturale che il discorso scorra con facilità e dolcezza, perché nell'armonia delle parole nulla increspa la superficie sonora".

    Testo:
    Ποικιλόθρον᾽ ἀθανάτ᾽ Ἀφρόδιτα,
    παῖ Δίος δολόπλοκε, λίσσομαί σε,
    μή μ᾽ ἄσαισι μηδ᾽ ὀνίαισι δάμνα,
    πότνια θῦμον·
    ἀλλὰ τύιδ᾽ ἔλθ᾽, αἴ ποτα κἀτέρωτα
    τὰς ἔμας αὔδας ἀίοισα πήλοι
    ἔκλυες, πάτρος δὲ δόμον λίποισα
    χρύσιον ἦλθες
    ἄρμ᾽ ὐπασδεύξαισα· κάλοι δέ σ᾽ ἆγον
    ὤκεες στροῦθοι περὶ γᾶς μελαίνας
    πύκνα δίννεντες πτέρ᾽ ἀπ᾽ ὠράνω αἴθε-
    ρος διὰ μέσσω.
    αἶψα δ᾽ ἐξίκοντο, σύ δ᾽, ὦ μάκαιρα,
    μειδιαίσαισ᾽ ἀθανάτωι προσώπωι
    ἤρε᾽, ὄττι δηὖτε πέπονθα κὤττι
    δηὖτε κάλημμι
    κὤττι μοι μάλιστα θέλω γένεσθαι
    μαινόλαι θύμωι. �τίνα δηὖτε Πείθω
    μαῖσ᾽ ἄγην ἐς σὰν φιλότατα, τίς σ᾽, ὦ
    Ψάπφ᾽, ἀδίκησι;
    καὶ γὰρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει,
    αἰ δὲ δῶρα μὴ δέκετ᾽, ἀλλὰ δώσει,
    αἰ δὲ μὴ φίλει, ταχέως φιλήσει
    κωὐκ ἐθέλοισα.
    ἔλθε μοι καὶ νῦν, χαλέπαν δὲ λῦσον
    ἐκ μερίμναν, ὄσσα δέ μοι τέλεσσαι
    θῦμος ἰμέρρει, τέλεσον, σὺ δ᾽ αὔτα
    σύμμαχος ἔσσο.

    Traduzione:

    O immortale Afrodite, dal trono variopinto,
    figlia di Zeus, tessitrice d’inganni, t’imploro
    non prostrarmi l’animo, o signora,
    fra dolori e angosce,
    ma vieni qui, se già altre volte
    udendo la mia voce da lontano
    le hai prestato ascolto, e, abbandonata la casa del padre
    giungesti
    dopo aver aggiogato il carro: ti conducevano
    veloci passeri sopra alla terra nera
    sbattendo fittamente le ali, giù dal cielo
    attraverso l’etere
    e subito sei giunta: e tu, o beata,
    sorridendo nel tuo volto immortale
    mi domandasti che cosa ancora soffrivo, e perché
    ancora ti chiamo
    e che cosa voglio che accada per me
    nel mio cuore impazzito: “Chi ancora m’indurrò
    a ricondurre al tuo amore? Chi, o
    Saffo, ti oltraggia?
    Infatti se ora fugge, presto inseguirà,
    se non vuole ricevere doni, sarà lui a farne,
    se non ti ama, presto ti amerà
    anche controvoglia.”
    Vieni da me anche ora, liberami dalla dura
    angoscia, e quelle cose che il mio cuore
    vuole che per me siano compiute, compile, e tu
    stessa siimi alleata.


    Il carme si sviluppa secondo le movenze tipiche dell'inno cletico (articolato in "invocazione", "corpo della composizione" e "supplica"). Saffo del suo presente ci dice pochissimo: cinque delle sette strofe sono dedicate alla rievocazione della passata epifania della dea, osservata dal momento in cui Afrodite lascia la casa di Zeus e aggioga il carro trainato dai passeri. Giù dal cielo, attraverso l'etere, questi la conducono alla poetessa: la sciena si distende lungamente nel tempo durativo dell'imperfetto ἆγον per poi coagularsi nell'improvviso compiersi dell'azione, segnato dal passaggio all'aoristo (αἶψα δ᾽ ἐξίκοντο). La dea appare: le sue parole (a cui viene affidata la descrizione dell'amore di Saffo: la poetessa, in prima persona, si limita a invocare la dea) sono scandite dalla triplice anafora di ὄττι nel discorso indiretto, cui risponde la triplice anafora di αἰ nella sesta strofe, tutta intessuta di elementi che si bilanciano nella contrapposizione tra presente e futuro, con l'esaudimento del desiderio di Saffo grazie alla costrizione divina esercitata sulla fanciulla ribelle. Secondo il processo tipico della Ringkomposition, l'ode si chiude esattamente come era cominciata, con l'intensa richiesta di realizzare ciò che la dea, nel tempo della memoria, ha già realizzato: l'amore e il ricordo si sovrappongono in Saffo con lo scivolare nel passato al v.6, evocando un mondo, quello del tiaso, regolato da un'esperienza continua della cessazione del rapporto amoroso che si verifica ogni qual volta la fanciulla deve lasciare il gruppo in cui è stata iniziata per il suo destino sociale e il matrimonio. La preghiera assume così, accanto al valore puramente personale, una valenza comunitaria che non va misconosciuta, anche nel suo aspetto religioso, che prevede l'invocazione della dea non come stilema già noto e piattamente ripetuto, ma come frutto di un'esperienza quotidianamente rinnovata all'interno del tiaso, gruppo che aveva tra i suoi caratteri più specifici quello di comunità cultuale.

    Un ultima curiosità, puramente testuale (ma di grande peso interpretativo): κωὐκ ἐθέλοισα al v.24 è l'unico elemento che ci permette di capire che la persona amata da Saffo è una donna. Studiosi cattolici o, in generale, incapaci di sopportare il pensiero del rapporto omoerotico nella società antica, hanno emendato il passo con κωὐκ ἐθέλοισαν, che toglie di mezzo ogni preoccupazione in quanto riferisce il participio a Saffo ("ti amerà anche se tu non lo vorrai"). Non c'è motivo di accogliere questa porcheria, forzatura dovuta al tristo ingegno di commentatori tanto pudichi nel loro perbenismo quanto spudorati nella loro continua voglia di mettere le mani sul testo tradito per correggerlo a proprio uso e consumo.
     
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