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Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta
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CITAZIONEil "Giornale di guerra e di prigionia" di Gadda mi manca, ma lo leggerò a breve essendo uno dei miei autori preferiti in assoluto. com'è?
Interessante. Poi ci permette di leggere i pensieri di un acceso interventista e polemico con l'incompetenza degli ufficiali. -
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Noto che negli ultimi anni di film incentrati sulla prima guerra mondiale ne sono usciti pochi. Scarso interesse o moda? . -
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Noto che negli ultimi anni di film incentrati sulla prima guerra mondiale ne sono usciti pochi. Scarso interesse o moda?
credo che per il grande pubblico venga vista come una guerra ormai lontana. -
the.hangman.
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per il cinema esistono solo 3 guerre,vietnam,2 mondiale e iraq.
peccato perchè un film fatto a modo sulla prima sarebbe veramente interessante data la tecnologia e le tattiche di guerra dell'epoca. -
ScreamingBunny.
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La Seconda è stata una tale tragedia che ha cancellato il ricordo della Prima in cui combattevano imperi ai più ignoti.
Poi i cattivi nella Seconda erano vestiti meglio. -
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CITAZIONEPoi i cattivi nella Seconda erano vestiti meglio
le divise degli ufficiali delle SS erano molto eleganti. -
ScreamingBunny.
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Griffate Hugo Boss, mica cazzi!
Comunque la Prima fu una vera esplosione di colori e divise anche assurde, perfettamente un linea con la schizofrenia di una guerra vecchia e nuova contemporaneamente.. -
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La Grande guerra fece vincere tante battaglie alla medicina
Antibatterici, sulfamidici e antibiotici sono figli degli orrori bellici. E i primi farmaci antitumorali nacquero dai terribili "gas mostarda"
E se la guerra alla fine non fosse poi così diversa da un'epidemia? Beh allora la Prima guerra mondiale sarebbe un'epidemia mai vista, che mise a dura prova tutti i medici dell'epoca.
È questa la chiave di lettura con cui a èStoria, il più importante festival di storia del nostro Paese, Giorgio Cosmacini, storico della medicina e autore di Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi (Laterza) ha affrontato il centenario di quel conflitto. Un'ottica particolare e curiosa anche per chi è abituato a frequentare la letteratura a tema bellico. Spiega Cosmacini: «La Grande guerra è stata una svolta per la medicina, una paradossale fonte di progresso. La necessità di curare un numero enorme di feriti ha costretto i medici a porsi una serie di problemi nuovi». E i risultati positivi li possiamo apprezzare anche oggi.
Bombe, shrapnel, proiettili supersonici che danneggiano i tessuti: la chirurgia del fronte doveva occuparsi di un numero altissimo di ferite. E molti dei medicinali in grado di contrastare le infezioni erano ancora sconosciuti. «Si moriva di setticemia, di cancrena gassosa. Non erano le ferite in sé a uccidere. Spesso erano gli esiti del tetano, delle complicanze settiche delle fratture», spiega Cosmacini. «E non c'erano i sulfamidici e gli antibiotici». Però arrivò una prima forma di medicazione antibatterica: la soluzione di Dakin-Carrel. Alexis Carrel era un chirurgo (geniale nelle suture e premio Nobel nel 1912) e biologo francese, Henry Dakin era un chimico americano. Inventarono una soluzione a base di ipoclorito di sodio e acido borico. Oggi è superata, ma allora determinò una svolta enorme, poiché il suo impiego abbatteva la mortalità. Stesso discorso per la tintura di iodio, inventata nel 1908 dal medico italiano Antonio Grossich. Secondo Cosmacini, «a Verdun, dopo i pesantissimi combattimenti, le statistiche francesi ci dicono che il 90 per cento dei feriti non trattati con la soluzione Dakin-Carrel morì. Tra quelli trattati la mortalità scendeva al 10-15 per cento».
Fu proprio la guerra a insegnare ai medici di concentrarsi sulle infezioni, dando vita a quel grande sforzo che condusse alla scoperta dei sulfamidici prima e degli antibiotici poi. Sia Gerhard Domagk sia Alexander Fleming erano stati ufficiali durante la Prima guerra mondiale. Ma in alcuni casi il legame tra le armi e lo sviluppo della medicina può essere davvero incredibile. Racconta Cosmacini: «Durante la guerra sono stati sviluppati moltissimi gas, come i nervini o i cosìddetti “gas mostarda”. Ebbero effetti devastanti, eppure i primi chemioterapici sono nati proprio dal reindirizzamento degli studi per la produzione di quei gas. Ora la chemioterapia ha fatto passi da gigante, ma il punto di partenza è stato lì». Anche il concetto di pronto soccorso e riabilitazione dei mutilati deve molto al conflitto. Basta pensare al caso molto letterario di Hemingway. «Faceva il barelliere, venne colpito a sua volta al ginocchio. Sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita, ma le radiografie, appena inventate, consentirono di valutare bene la ferita e la riabilitazione, fatta al padiglione Ponti di Milano, di prevenire la zoppia. Addio alle armi è figlio dei progressi della medicina».
Ma la Grande guerra ci ha dato anche altri lasciti sotterranei e impensabili. Strano a dirsi, soprattutto a tavola. Questa parte della storia che sostituisce alla bomba a mano la gavetta l'hanno raccontata ieri Alessandro Marzo Magno, autore di Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo (Garzanti), e Maria Muzzarelli, storica del costume dell'Università di Bologna. Spiega Marzo Magno che l'abitudine italica di far colazione con il caffè deve molto alla battaglia del Piave. «C'era bisogno che i fanti stessero ben all'erta per non far passare lo straniero. Quindi, dovevano bere caffè, sino ad allora una bevanda riservata ai borghesi. La circolare del novembre 1917 del regio esercito prevedeva che al mattino venissero distribuiti 8 grammi di caffè e 10 di zucchero. E nel tempo le dosi furono aumentate. I soldati, una volta tornati a casa, continuarono a bere caffè al mattino, mutando in tal modo per sempre la prima colazione degli italiani». Gli austriaci, più tecnologici e meno gastronomici, risposero con il Kaffeekonserve, ovvero caffè liofilizzato, inserito nella dotazione individuale. Poteva essere sciolto nell'acqua, sia a caldo sia a freddo, dava molto sostegno e poteva diventare un salvavita.
Su tutti i fronti quella alimentare diventò anch'essa una battaglia industriale. I tedeschi, trovatisi a mal partito a volte scatenarono attacchi locali sul fronte occidentale soltanto impossessarsi della carne in scatola degli inglesi... Gli italiani diventarono maestri nel tonno in scatola, spesso l'unico modo per far arrivare proteine in zona di combattimento. Nascevano contemporaneamente la fame cronica del soldato e l'industria alimentare, lo strazio del corpo e la sua cura. Nella nostra dispensa, e nel nostro armadietto dei medicinali, ormai resta solo la seconda parte del paradosso.. -
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L'attentato di Sarajevo fu il gesto omicida che colpì l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia durante una visita ufficiale nella città bosniaca nel 1914. L'autore dell'attentato era lo studente Gavrilo Princip, membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), un gruppo politico che mirava all'unificazione di tutti gli jugoslavi (slavi del sud).
Il 28 giugno 1914, nel giorno di San Vito noto anche come Vidovdan, giorno di solenni celebrazioni e festa nazionale serba, Francesco Ferdinando e Sofia furono colpiti a morte da alcuni colpi di pistola esplosi dal diciannovenne serbo.
Il gesto fu assunto dal governo di Vienna come il casus belli che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale. Dopo appena un mese dall'uccisione della coppia, il 28 luglio l'Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, il conflitto che era alle porte sarebbe stato senza precedenti nella storia e avrebbe richiesto la mobilitazione di oltre 70 milioni di uomini e la morte di oltre 9 milioni di soldati e almeno 5 milioni di civili; la prima guerra mondiale era formalmente iniziata.
L'arresto dell'attentatore Gavrilo Princip. Una foto sicuramente entrata nella storia
L'evento scatenante la Grande Guerra. Un pretesto, sicuramente. Una guerra nata per motivi molto più complessi (secondo alcuni storici la guerra era inevitabile, secondo altri si sarebbe potuto continuare a coesistere per altri decenni). Sicuramente la morte dell'arciduca cambiò la storia.. -
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La cosa più intrigante degli inutili What If è chiedersi: se fosse andata in porto l'idea della triarchia, come sarebbe cambiato lo scenario europeo in generale e dei Balcani in particolare? . -
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Sportivi e soldati: al fronte nella Grande Guerra
Bartolomeo Aimo, terzo al Giro d’Italia nel 1928, combattè sul Carso distinguendosi per umiltà e caparbietà. Fu di ispirazione per uno dei personaggi di Ernest Hemingway in “Addio alle armi”. (Archivio Gazzetta)
La prima pagina della Gazzetta il 30 aprile 1917: «Coi nostri prodi soldati al fronte». L’entusiasmo per l’avventura bellica si trasforma in presa di coscienza delle incredibili perdite della stessa, ancor prima della disfatta di Caporetto.
Il canottiere comasco Giuseppe Sinigaglia in una foto tratta da “L’Illustrazione Italiana” del 12 luglio 1914: dopo la vittoria nella Diamond’s Scull, nel Regno Unito. Sinigaglia vinse il titolo di campione italiano nel 1912 dopo aver conquistato il titolo continentale l’anno precedente. Volontario nel Regio Esercito, nell’agosto del 1916 perse la vita sul Monte San Michele, nel Carso.
Il nuotatore australiano Cecil Patrick Healy, ucciso sul fronte il 29 agosto 1918. Vincitore della medaglia d’oro nei 200 sl ai Giochi di Stoccolma 1912, secondo nei 100 sl battuto dal fenomenale Kahanamoku. (Australian War Memorial)
La ricerca della normalità sui campi di battaglia. In tenuta militare e maschera antigas, ecco alcuni soldati svagarsi con un pallone costruito con teli sdruciti.
Qui un gruppo di soldati, impegnati sul fronte orientale, si godono un attimo di tregua dagli impegni militari, posando con le loro maschere antigas.
Dai campi di battaglia ai campi di gloria: Joseph Guillemot taglia il traguardo dei 5000 m ai Giochi di Anversa del 1920, battendo Paavo Nurmi. Poche ore dopo, arrivò secondo nella finale dei 10.000. L’atleta francese aveva rivestito ruoli militari durante la Grande Guerra e aveva subito estese lesioni a livello polmonare a causa del gas nervino utilizzato in battaglia.
Uno dei protagonisti sportivi più celebri della Grande Guerra è sicuramente George James Patton, noto alla storia come il generale Patton. Nato nel 1885, Patton partecipò ai Giochi di Stoccolma 1912, nel pentathlon moderno: dopo un 20° posto nel tiro, recuperò in classifica con le prove di nuoto (7°), scherma (5°), equitazione (6°) e corsa (3°), chiudendo la generale in quinta piazza. In ambito militare fu impiegato nelle campagne in Messico (1916-1917), contro Pancho Villa, e in Europa. Durante la II Guerra Mondiale fu protagonista dello sbarco in Sicilia (nella foto), della respinta della controffensiva tedesca delle Ardenne e della liberazione del campo di sterminio di Buchenwald.
Il primo italiano a vincere il Tour de France, fu Ottavio Bottecchia nel 1924. Combattè la Grande Guerra nel suo Triveneto tra gli “esploratori d’assalto” e ricevette la medaglia di bronzo al valore militare.. -
.Noto che negli ultimi anni di film incentrati sulla prima guerra mondiale ne sono usciti pochi. Scarso interesse o moda?
Torno un attimo sulla questione. L'altro giorno mi è capitato di vedere di qualche minuto di uno dei pochi film sulla IGM appunto. Vedendolo, mi è venuto in mente che uno dei motivi per cui ci sono pochi film su questa è che fu vissuta con un'ingenuità spaventosa. Probabilmente le famiglie salutavano i loro figli come se stessero andando in campeggio estivo, e forse riportare questo in maniera realistica risulterebbe paradossalmente irrealistico dopo il dramma della IIGM.
Però effettivamente sarebbe interessante scoprire un po' di più questo evento storico dal punto di vista cinematografico.. -
the.hangman.
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infatti ci sono state tante battaglie inutili combattute solo per tornaconto espansionistico tipo quelle combattute in medio oriente tra il tigri l'eufrate.
della serie,siamo qua a controllare,i turchi sono deboli,attacchiamo,invece di tenere una difesa preventiva. -
miss.unpleasant84.
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Come già riportato non ricordo da chi, la IWW è stato un avvenimento di frattura. Tra la concezione della guerra di stampo 800centesco e le nuove tecnologie che hanno inevitabilmente preso il sopravvento (carri armati, aviazione, gas nervini). Che sia un avvenimento di frattura è facilmente intuibile dall'abbigliamento dei soldati (ps: ricordo a the.hangman che la parola abbigliamento è di genere maschile, ergo l'articolo un NON si apostrofa): tipicamente dell'800, quando la cavalleria la faceva da padrona. Andata inevitabilmente a morire con l'avvento della guerra di trincea. Ha ragione Baba nello scrivere che una delle origini alla base dello scoppio sia il congresso di Vienna e l'ordine costituito all'indomani della sparizione di Napoleone dallo scenario intl.
E che il trattato di "pace" di Versailles ha fatto solo da apripista alla seconda guerra mondiale.
Peccato il poco interessamento della cinematografia: gli esempi offerti sono poco interessanti, al limite del tedio, quando invece dovrebbero di più concentrarsi sulle "innovazioni" di questo conflitto, soprattutto a livello sociale e sociologico.. -
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Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta
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Le divise del Regio Esercito durante la Grande Guerra
L'Uniforme Grigio Verde entrò ufficialmente in uso con la circolare n.458 del 4 dicembre 1908 per tutte le Armi ad eccezione della Cavalleria che inizierà ad indossarla soltanto dall'anno successivo (Circolare n. 97 del Giornale Militare del 3 febbraio 1909).
Lungo fu il periodo di accavallamento fra le vecchie uniformi blu e la nuova tenuta che equipaggiò al completo l'Esercito a partire dal 1913.
Composta da una giubba ed un pantalone di panno pesante, con piccole differenze se destinata ad Armi a Piedi (Fanteria, alcune specialità di Artiglieria e Genio) o Armi a Cavallo (Cavalleria, Artiglieria e Carabinieri) subirà costanti modifiche per meglio adattarla alla vita di trincea.
La giubba, ampia e comoda "ma in modo che si acconci con garbo alla persona" era ad un petto, con colletto in piedi, chiusa da una bottoniera nascosta di cinque bottoni di frutto. Spallini a salsicciotto erano fissati all'attaccatura delle maniche che terminavano con dei paramano a punta. Un gilet di taglio classico veniva indossato sotto la giacca. I pantaloni erano per le Armi a Piedi di due tipi, da montagna e non, differenziati sostanzialmente dalla lunghezza ed ampiezza dello stesso.
Ufficiale del Battaglione Aviatori in tenuta di volo
Cavalleggero delle "Guide" (19°)
Generale di Divisione con pastrano
Tenente del Genio
Cavalleggero del Reggimento l'Aquila (27°)
Dragone di Piemonte Reale (2°)
Gli Arditi
I primi reparti arditi furono costituiti in ambito 2^ Armata nell'estate del 1917.
La loro tenuta fu presto definita e si caratterizzava per la giubba da ciclista, dal colletto rivoltato, portata aperta "alla borghese" ed i pantaloni "corti" da alpino. Fasce mollettiere o calzettoni.
Sotto la giacca un maglione grigio verde a collo rovesciato. Il copricapo era quello di provenienza ed in azione l'elmetto.
La tenuta resterà pressocche invariata fino allo scioglimento della specialità. Soltanto nel 1918, a causa della scarsa disponibilità di maglioni, questi ultimi saranno sostituiti da camicia grigio verde e cravatta nera. Come copricapo unificato il fez da bersagliere in colore nero.
Di colore nero erano anche le fiamme a due punte portate sui baveri. Il colore sembra sia stato scelto dal colonnello Bassi, comandante della Scuola della 2^ Armata di Sdricca di Manzano (UD), per onorare la memoria di un antenato materno, tale Pier Fortunato Calvi, ispiratore e guida della rivolta antiaustriaca del 1848 in Cadore. Il Calvi, di cui ricorreva il centenario della nascita proprio nel 1917, portava come simbolo della carboneria e della rivolta veneta, una cravatta nera.
I reparti arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini, continuarono ad indossare la mostreggiatura di provenienza con il particolare distintivo adottato per i militari arditi al braccio sinistro ed il particolare trofeo da copricapo, composto da una granata fiammeggiante simile a quella dei bersaglieri ma sfuggente a sinistra (per chi guarda) e due pugnali incrociati sotto la granata, contenente il numero romano del reparto.
I plotoni arditi reggimentali invece portavano la giubba ed i pantaloni da ciclista, il distintivo da militare ardito al braccio sinistro mentre le mostreggiature ed il fregio sul berretto rimasero quelli del reggimento di appartenenza.
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