100 anni dalla Grande Guerra

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    Le divise dell'Imperial regio Esercito austro-ungarico

    A dispetto della complicata struttura e malgrado le problematiche dell'impero austro ungarico, esacerbate dalla guerra, questa istituzione, se paragonata ad altri eserciti del periodo, resse con sorprendente tenacia ed inaspettata efficienza la prova bellica, dando segni di sfaldamento solo dopo il collasso politico dello stato asburgico, di cui costituì senza dubbio una delle colonne portanti.
    L'esercito austro-ungarico si differenziava sostanzialmente da quello dei coevi stati dinastici e dei contemporanei stati nazionali, dovendo contemperare e riunire le istanze nazionalistiche ungheresi, gli assetti tradizionali, e le rivendicazioni della parte tedesca dell'impero. Era costituito da esercito comune, esercito nazionale austriaco, esercito nazionale ungherese e dalle forze delle rispettive riserve territoriali nazionali.
    L'assegnazione delle reclute (al compimento del 20º anno di età) all'esercito comune o a quello nazionale avveniva per estrazione a sorte.
    Reclutato uniformemente su tutto il territorio, dipendeva dal ministero della guerra della duplice monarchia, i reparti dell'esercito comune erano detti "imperiali e regi" (kaiserlich und königlich - k.u.k.-/császári és királyi); nell'esercito comune confluirono tutti i reparti di antica tradizione dell'esercito imperiale di cui prese il posto. Operava indifferentemente su tutto il territorio.

    La riforma militare conseguente al Compromesso (Ausgleich) del 1867 portò all'adozione di nuove uniformi militari più pratiche ed adatte ai tempi. La fanteria di linea cambiò il colore della giubba dal bianco al blu scuro, con spalline, chiusa con una sola fila di bottoni d'ottone o di peltro, a seconda del reggimento, con paramani dritti (austriaci) o a punta (ungheresi); i reggimenti austriaci portavano pantaloni azzurro chiaro (Hose) lunghi fino a coprire gli stivali, mentre quelli ungheresi li portavano aderenti dello stesso colore ma con pistagne gialle e infilati negli stivali. Per tutte e due le regioni era previsto un kepi azzurro con gronda, paraorecchi rialzato e sottogola di cuoio nero, uno zaino con spallacci in pelle di vitello e un cappotto azzurro scuro arrotolato e portato a bandoliera da sinistra a destra. Sia gli ufficiali superiori che quelli inferiori vestivano un'uniforme degli stessi colori della truppa. I generali avevano paramani e risvolti rossi bordati d'oro, pantaloni blu molto scuro e giacca grigio-azzurro chiaro, con doppia banda rossa (Lampassen) e kepi di feltro nero; la giacca degli ufficiali di Stato Maggiore era invece verde scuro con paramani e risvolti di velluto nero e pistagne amaranto.
    Decorazioni, medaglie, ordini cavallereschi e insegne in genere dovevano essere portate sul petto della giubba a sinistra, con tutte le uniformi, anche in combattimento (comodo, immagino).

    226px-Feldmarschall_Svetozar_Boroević_von_Bojna_1918

    Il Feldmaresciallo Svetozar Boroevic von Bojna in un'eccezionale immagine del 1917, in tenuta di servizio con giubba grigio-azzurro chiaro e pantaloni blu scuro, e con cappotto da generale foderato di panno scarlatto.

    L'uniforme ordinaria (usata in servizio, in libera uscita, in guardia e in parata) della fanteria, sia dell'esercito k.u.k. imperiale e regio, sia dalla Landwehr che dalla Honvéd, era dal 1882 composta da giubba azzurro scuro (Rock M.1882), con colletto dritto e chiuso (Stehkragen) con mostrine nel colore reggimentale, munita di controspalline e spalline a "salsicciotto" nel colore reggimentale, a un petto con una fila di 7 bottoni scoperti in zinco o ottone a seconda del reggimento. La giubba aveva i paramani dritti per la Landwehr e l'esercito comune, e a punta per la Honvéd ungherese. I pantaloni erano grigio-azzurro chiaro di modello diverso a seconda dell'appartenenza nazionale (vedi sopra), con profilo laterale nel colore reggimentale. Il copricapo era un berretto (Kappe) di colore azzurro, con alla sommità una coccarda metallica recante le cifre imperiali (FJI o IFJ, vedi sotto). Sulle mostrine al bavero erano portate le stellette di grado (vedi tavola sotto).
    Alla vita veniva sempre portato un cinturone di cuoio (Feldkoppel) con una fibbia metallica rettangolare recante l'aquila bicipite imperiale. I sottufficiali (Unteroffiziere) dal grado di Zugfuhrer (sergente) in su, dovevano portare al cinturone una baionetta (Seitengewehr) M.95 o M.88, con all'impugnatura una caratteristica dragona (Portepee) di seta gialla e nera.
    La fanteria leggera, costituita essenzialmente dai cacciatori imperiali (Kaiserjäger) e dai cacciatori (Jäger o Feldjäger) adottò una nuova uniforme che, riprendendo il tradizionale colore grigio-azzurro, aveva un taglio più confortevole e pratico, per truppe che dovevano muoversi più rapidamente in operazioni.
    Tutti i reggimenti dell'Esercito comune imperiale e regio erano identificati da un numero progressivo e da un titolare onorario (Inhaber), di solito un generale dell'esercito o un monarca straniero: ad es. 10º Reggimento di Fanteria "Re Gustavo V di Svezia" (K.u.K. Infanterie Regiment n. 10 "Konig Gustav V von Schweden") oppure 23º Reggimento di Fanteria "Marchese von Baden" (k.u.k. Infanterie Regiment n. 23 "Markgraf von Baden").

    553px-HGM_Pock_Defilierung_IR4_des_Erzh_Eugen_im_Prater_1896

    Uniformi da parata nel 1896

    Alla vigilia della guerra mondiale si scelse di modernizzare ulteriormente l'uniforme e, per motivi di tempo e risparmio, malgrado gli esperimenti avessero suggerito l'adozione di un'uniforme di colore bruno, simile a quello britannico e a quello adottato dall'Ungheria nel dopoguerra, fu estesa a tutte le truppe di fanteria l'uniforme da campo dei cacciatori. In sostanza, a differenza di eserciti come quello britannico o italiano dove la nuova uniforme bruna o grigioverde andava a sostituirsi all'appariscente tenuta ottocentesca, nell'esercito imperiale, almeno finché la guerra non determinò la semplificazione delle forniture ed il risparmio dei materiali, la nuova uniforme da campo, che riprendeva un modello già in uso, andava ad affiancarsi, e solo per l'impiego in operazioni militari, alla multicolore divisa tradizionale che restò in dotazione anche se dal 1916 non fu più distribuita.
    Nel 1910, per tutte le truppe fu introdotta una pratica uniforme da campo di colore grigio cenere (Hechtgrau, lett. "grigio luccio") munita di tasche ed un berretto da campo dal disegno pratico e moderno. Era prodotta in panno di lana di buona qualità (che durante la guerra peggiorò molto) ed era composta di giubba a collo chiuso e dritto (Stehkragen) con controspalline amovibili, di cui la controspallina destra presentava all'esterno un rotolo di stoffa cucito strettamente (Schulterrolle) che serviva a impedire che la cinghia del fucile scivolasse. completava l'uniforme un berretto (Kappe) dello stesso panno e colore, con visiera in cuoio e fascia abbassabile fermata da due bottoni di osso. Sul berretto, alla sommità della cupola, era fissata una coccarda metallica con le cifre imperiali (FJI, cioè Franz Josef I per la Landwehr e l'esercito comune imperiale e regio, IFJ per la Honvéd ungherese). Ai piedi si portavano scarponi di cuoio chiodati e fasce mollettiere. Completava l'uniforme da campo un cappotto (Mantel) di panno di uguale colore, sempre con il Schulterrolle sulla controspallina destra, a doppio petto e con martingala posteriore, e lo zaino in pelle di vitello a cui si agganciavano il cinturone e gli spallacci che sostenevano a loro volta quattro giberne in cuoio per le munizioni, la baionetta e la vanghetta da fanteria. In questo modo tutto l'insieme poteva essere comodamente sfilato e indossato.
    Già dal 1912 i soldati austro-ungarici avevano ricevuto un nuovo modello di equipaggiamento, cinturone, spallacci e zaino interamente in cuoio marrone molto razionale e pratico, cui si aggiungeva ora un tascapane in tela grigia e una borraccia da 0,6 lt. in ferro smaltato a fuoco di ottima fattura (i ghiacciai dolomitici spesso restituiscono esemplari in condizioni sorprendentemente buone ancora oggi). Nel 1914 ai soldati di fanteria vennero distribuiti picchetti e teli da tenda, gavette ed equipaggiamento da campo in buona quantità. Sebbene più carico dei suoi avversari russi e italiani, il soldato austro-ungarico era certamente equipaggiato e vestito meglio.
    I primi combattimenti dell'estate 1914 falcidiarono l'esercito imperiale e regio, che perse in pochi mesi molti dei suoi ufficiali e sottufficiali di carriera. Questa ecatombe portò a rendere meno appariscente l'aspetto della truppa, soprattutto della cavalleria con le sue coloratissime uniformi. Gli elmi da Dragone e le Czapka degli Ulani vennero perciò rapidamente muniti di apposite foderine di tela grigia e chi non ne aveva una non esitò a verniciare direttamente l'elmo di grigioverde. Similmente gli Shako degli Ussari ungheresi persero il loro trofeo di crine di cavallo e le uniformi blu rutilanti di cordoni dorati diventarono grigioverdi.

    Nel 1915 fu prodotta una nuova giubba da campo, con colletto rivoltato anziché dritto, sempre con le mostrine colorate reggimentali. A parte questo, il taglio dell'uniforme restò pressoché invariato per tutta la guerra essendosi rivelato molto comodo e pratico.

    Il primo inverno di guerra (1914/15) vide, sul fronte orientale, un florilegio di espedienti contro il freddo non appena ci si accorse che il pastrano di lana non bastava neanche lontanamente a garantire il riparo dal terribile inverno russo. Si foderavano di paglia e carta di giornale gli stivali e i cappotti, e chi poteva procurarsi una pelliccia doveva guardarla a vista. Successivamente l'Intendenza militare austriaca realizzò e distribuì, durante il 1915, degli indumenti più caldi, in cotone imbottito di cascami di lana, copiati da quelli comunemente usati dai contadini russi.
    Nel 1916 vennero distribuiti ai reparti di prima linea gli elmi d'acciaio tedeschi (Stahlhelm) M.1916, concepiti molto bene e che fornivano un'ottima protezione generale. Ai lotti di elmi forniti dalla Germania si aggiunsero quelli prodotti in Austria (riconoscibili per il colore della vernice, marrone anziché grigioverde) e un meno diffuso elmo di concezione austriaca, il Berndorfer, che entrò in servizio nel 1917. A detta dei reduci, gli elmi non erano però così diffusi quanto si crede, e in effetti un'analisi delle foto d'epoca mostra che in combattimento solo il 50% dei soldati austro-ungarici li calzava. Ma, sempre secondo i reduci, "erano molto utili sotto la pioggia". Sempre nel 1916 cominciò la distribuzione massiccia di equipaggiamento ersatz (di recupero), imposto dal blocco economico degli Alleati alle Potenze centrali, che stava causando una seria carenza di materie prime: cinture e spallacci in canapa anziché cuoio, baionette senza manico, borracce in latta stagnata e panno, ecc.
    Il 1916 vide anche la distribuzione ai reparti combattenti delle maschere antigas, le Lederschutzmaske 1916 di fabbricazione tedesca, senza dubbio il miglior modello di maschera antigas della guerra, in cuoio trattato con filtro a cartuccia separato e intercambiabile che fissò lo standard per tutti i modelli successivi. Contenuta nella custodia cilindrica in metallo, era efficace e affidabile e divenne un accessorio obbligato dato l'uso molto esteso di gas asfissianti da parte di tutti i belligeranti.
    Nel 1917, dopo le moltissime segnalazioni circa la notevole appariscenza dell'uniforme in battaglia, venne adottata una nuova mostreggiatura: furono abolite le mostrine di panno colorato rettangolare, giudicate troppo vistose, sostituite da delle semplici strisce verticali larghe 1cm da cucire a 10cm dal bordo del colletto. I distintivi di grado venivano sempre portati sul colletto ma le stellette erano ora in celluloide grigio scuro, meno visibili. Tuttavia le vecchie mostrine rettangolari rimasero in uso fino alla fine della guerra, soprattutto nei reparti di retrovia.
    Nel 1917 viene ufficialmente proibito l'uso al fronte delle variopinte uniformi di cavalleria, ma nelle guarnigioni e nelle caserme gli ufficiali di cavalleria continuarono a vestire di rosso e blu fino alla fine della guerra (e in Ungheria anche negli anni successivi).

    All'inizio del 1918 la scarsità di materie prime (e in generale di qualsiasi cosa) divenne drammatica: l'esercito austriaco non esitò a utilizzare il panno grigioverde italiano, catturato in grande quantità durante l'offensiva di Caporetto, per confezionare uniformi di cui vi era sempre un grande bisogno: la leva in massa del 1917 aveva alluvionato i reparti di reclute, giovani e anziani. Ne risultò un'uniforme dal taglio tipicamente austriaco (tasche applicate con patta a "zampa d'oca", controspalline, bottoniera scoperta, colletto rivoltato ecc) ma dal colore grigioverde. Ne furono equipaggiate intere divisioni.

    Stahlhelm1

    Militari ungheresi delle Sturmtruppen in addestramento, mentre lanciano delle bombe a mano. Notare i pugnali da combattimento portati accanto alle baionette, le borse di tela marrone per le bombe a mano e le corte, maneggevoli carabine M95 portate a tracolla, molto più pratiche in trincea del lungo fucile d'ordinanza. Interessante l'elmo Berndorfer, di produzione austriaca, portato dal militare in primo piano, immediatamente riconoscibile dal suo particolare profilo. Il suo collega porta invece un più comune Stahlhelm M1916 di produzione tedesca.

    La modernità delle soluzioni adottate dall'Austria-Ungheria fu tale che il disegno dell'uniforme e degli accessori venne imitato anche da altri eserciti, ad esempio il disegno del berretto da campo fu imitato dall'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale (Feldmutze M43), la foggia della giubba da campo fu spunto per quella nazista e di molti stati balcanici.
    In generale, si può affermare senz'altro che l'esercito austro ungarico combatté con grande tenacia e valore, e mantenne fino all'ultimo un alto livello di efficienza. L'alta qualità delle armi, l'ottima organizzazione e amministrazione, l'elevata professionalità degli ufficiali e il rigoroso addestramento della truppa fecero sì che i soldati dell'impero si batterono sempre con ammirevole coraggio, perfino in condizioni disperate e umanamente insopportabili mostrarono vitalità e aggressività. Nonostante il carattere multinazionale della monarchia asburgica, le forze armate restarono in generale salde e compatte anche quando l'Impero cominciava a disgregarsi. Con l'eccezione dei reggimenti cechi, i popoli che componevano il millenario Impero Asburgico fornirono combattenti leali e fedeli, sino all'ultimo istante del conflitto e spesso anche oltre.

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    Soldato ungherese sul fronte italiano
     
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    Divise dell'esercito Imperiale tedesco

    Il Deutsches Heer conosciuto anche con il nome di Reichsheer (esercito nazionale), Kaiserliches Heer (esercito imperiale) o Kaiserreichsheer (esercito dell'impero tedesco), fu l'insieme delle forze militari tedesche di terra operative tra il 1871 e il 1919, coincidenti con la nascita e la caduta dell'Impero tedesco. Era formato da contingenti bavaresi, sassoni , del Württemberg e del Baden, mentre i comandi dell'Esercito prussiano assensero il controllo quasi totale sugli eserciti degli altri Stati dell'Impero.
    Dopo il 1871, tuttavia, gli eserciti di Prussia, Baviera, Sassonia,Baden e del Württemberg continuarono a mantenere identità distinte, anche se nei documenti ufficiali e nei codici penali militari era citato l'esercito imperiale. Ogni regno aveva il suo Ministero della Guerra, Baviera e Sassonia pubblicarono direttive distinte e liste di anzianità per i loro ufficiali diverse da quello che fecero singolarmente gli eserciti del Württemberg e della Prussia.

    Fu un esercito molto ben armato ed incredibilmente moderno. Il fucile, il Mauser Gewehr 98 venne utilizzato in entrambi i conflitti (un po' come il nostro Mod. '91), mentre, incredibilmente, le mitragliatrici mod. Maxim erano costruite su licenza di un progettista americano che si vide rifiutare il proprio progetto dagli eserciti americano ed inglesi (della serie nemo propheta in patria).

    Fino al 1910, le uniformi dell'Esercito tedesco, rispondevano ai canoni estetici ottocenteschi. Uniformi colorate, anche in combattimento, le quali permettevano, nella mischia, di poter distinguere l'amico dal nemico. La polvere nera impiegata nel munizionamento, dopo pochi minuti di scambio di fucileria, creava "nuvole" dense e scure, le quali invadevano il campo di battaglia, riducendo al minimo la visibilità.
    L'avvento della polvere senza fumo determinò un'esigenza diametralmente opposta: indossare divise poco appariscenti, preferibilmente confondibili con lo scenario delle operazioni.
    Nel 1910, venne introdotta la nuova divisa feldgrau (grigio campo), in un colore più lucente di quella, in colore verde, la quale verrà adottata a partire dal 1915.
    Ogni Corpo si distingueva per il colore delle mostrine, ed era riconoscibile, altresì, dalla coccarda, posta sul davanti del berretto, sotto a quella del Reich. I distintivi di grado erano posizionati sulle spalline, sui galloni e sulle mostrine.

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    Ufficiale tedesco

    Ma sicuramente l'aspetto più importante e caratteristico della divisa da campo tesca era l'elmetto. Prima era previsto il modello Pichelhaube, l'elmo chiodato, considerato ancora oggi, a dispetto della sua probabile origine danese, un simbolo del militarismo prussiano. Il pickelhaube, in uso alle truppe prussiane sin dalla metà dell'800, era un elmetto di dimensioni piuttosto contenute, realizzato in cuoio bollito, rinforzato da una leggera armatura e verniciato di nero. Sulla parte frontale era poi applicata un'aquila imperiale metallica, color oro oppure argento, ai lati spiccavano le coccarde con i colori dello stato e del reggimento di appartenenza. Il chiodo non era solo un ornamento volto ad intimorire l'avversario, ma svolgeva anche una funzione pratica: era lo sfiatatoio del sistema di ventilazione interna del copricapo. In quanto a protezione l'elmo chiodato era pressoché inutile e per giunta ingombrante, poiché il chiodo, alto una ventina di centimetri, sporgeva dai rifugi e dalle trincee, indirizzando il tiro nemico.
    Già prima del 1914 lo stato maggiore tedesco aveva tentato di risolvere il problema della visibilità dell'elmo nero lucido, predisponendo una copertura di tela feldgrau sul quale era stampato in rosso il numero del reggimento. Dopo alcuni mesi di guerra sperimentò anche lo smontaggio del chiodo, ottenendo vantaggi sul piano mimetico, senza tuttavia risolvere il problema cruciale della scarsa capacità protettiva del pickelhaube.

    elmo1552

    Nell'estate del 1915, il chirurgo August Bier, generale della Sanità del XVIII Corpo d'armata fu incaricato di studiare un elmo metallico da distribuire alle truppe. Con l'aiuto determinante del professor Friedrich Schwerd, capitano di artiglieria, egli giunse alla definizione di un progetto che ottenne l'approvazione del ministero della Guerra nel settembre dello stesso anno. Non appena i primi 40 esemplari, realizzati dal maestro artigiano Franz Marx, ebbero superato, nel novembre 1915, le prove balistiche al poligono di Kummersdorf, fu avviata la produzione industriale dell'elmetto denominato modello 1916, che ottenne il suo battesimo del fuoco nella battaglia di Verdun.
    Lo stahlhelm modello 1916, costruito in acciaio trattato al nichel-cromo, era provvisto di due supporti laterali all'altezza delle tempie con la duplice funzione di favorire l'aerazione e di permettere l'applicazione di una placca frontale d'acciaio di 5 mm di spessore, a prova di proiettile, da impiegare nei turni di vedetta e di guardia. Completo della corazzetta frontale supplementare l'elmo superava il peso di tre chilogrammi. L'imbottitura a tre cuscinetti, era montata su di una striscia di cuoio o di metallo assicurata all'elmo mediante tre bulloni. Il soggolo, con ganci ad incastro scorrevole, era simile a quello del pickelhaube.
    Lo stahlhelm forniva una eccellente protezione, ma non era immune da difetti. I cornetti ventilatori facevano entrare l'aria fredda durante l'inverno, costringendo i soldati ad ostruirli con fango o stoffa. Le ampie falde svasate disturbavano l'udito, distorcendo i suoni e creando un'eco alla voce.
    Nel corso dell'ultimo anno di guerra furono distribuite alle truppe alcune varianti del modello originario: una dotata di un nuovo soggolo, fissato all'imbottitura e non più all'elmo, un'altra caratterizzata da una visiera molto ampia, un'altra ancora con falde laterali spioventi quasi a perpendicolo nel punto in cui si attaccavano alla visiera. Per la cavalleria fu realizzato un modello particolare che aveva le falde laterali tagliate a semicerchio all'altezza delle orecchie.
    Anche l'alleato austroungarico, che pure aveva avviato autonomamente già nel 1915 un progetto per la realizzazione di un elmetto, optò per lo stahlhelm tedesco, apportando come unica modifica la colorazione: dal feldgrau al marrone. Solo poche migliaia di esemplari dell'elmo Berndorfer di costruzione austriaca furono distribuite alle truppe.

    elmo1553
     
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    Le divise dell'esercito francese

    L'esercito francese uscì distrutto ed umiliato dalla sconfitta di Sedan del 1870. Tra le cause, curiosamente, secondo De Coubertin fu la scarsa attitudine all'attività fisica da parte dei francesi, da cui il desiderio di ripristinare le olimpiadi estive :D
    L'esercito francese nel 1886 fu il primo al mondo a sperimentare per il proprio fucile d'ordinanza una polvere da sparo che non emetteva fumo, messa a punto dal chimico Vieille e dal capitano Desaleux. Per secoli le armi da fuoco avevano tuonato sui campi di battaglia lanciando, oltre a proiettili più o meno micidiali, dense volute di fumo grigiastro, generato dall'unico propellente conosciuto: la polvere nera. Anche la più riparata posizione di tiro era presto svelata agli occhi del nemico dal fumo che accompagnava ogni sparo.
    Con l'invenzione della polvere senza fumo, denominata poudre B, in onore del generale Boulanger, bellicoso ministro della Guerra destinato a dominare per breve tempo la scena politica francese di fine secolo, iniziò un nuovo capitolo dell'arte militare non solo sotto il profilo tecnico, ma anche sotto quello tattico.
    L'adozione della poudre B e del fucile Lebel, dal nome del generale che presiedette la commissione incaricata nel 1884 di rinnovare l'armamento della truppa, non si accompagnò tuttavia ad un ammodernamento dell'uniforme, che rimase sino al 1915 caratterizzata da vistosi calzoni rossi, cari alla tradizione militare, ma letali per i fanti che li indossavano sui campi di battaglia. Nel 1914 l'uniforme dei fanti francesi era identica a quella indossata dai loro nonni durante la guerra franco-prussiana del 1870. Oltre 40 anni di un progresso tecnologico senza precedenti e di colossali investimenti nelle spese militari avevano lasciato pressoché invariata la visibilità della truppa.
    L'uniforme francese si componeva di un chepì semi-rigido con visiera in cuoio, blu, filettato in giallo per i cacciatori a piedi, rosso e blu per la fanteria di linea. In caso di pioggia era prevista l'applicazione di un apposito telino blu sul chepì rosso. La giacca, detta Vareuse, era blu ad un petto e con il collo alto, i calzoni potevano essere rosso acceso per la fanteria di linea o blu, filettati in giallo, per i cacciatori. Il cappotto, blu, era a doppio petto, a collo alto, con due file di luccicanti bottoni in ottone. Durante la marcia le falde del cappotto venivano rialzate e fissate a due apposite asole poste sui fianchi, permettendo così una maggiore comodità di movimenti, ma mettendo in mostra i larghi calzoni rossi che attiravano l'attenzione dei tiratori tedeschi. Infatti, non appena i fanti francesi ebbero il loro battesimo del fuoco abbandonarono i calzoni rossi per indossarne di blu, prima ancora che le autorità militari ideassero una nuova uniforme. Soltanto nell'aprile del 1915, dopo otto mesi di conflitto, iniziò ad essere distribuita l'uniforme in tessuto azzurrino smorto, bleu horizon, che migliorò nettamente le caratteristiche mimetiche della tenuta da combattimento.

    Lo zaino era forse ancora più antiquato dell'uniforme del 1914, sia per forma e
    Pichelhaube


    dimensioni, sia per il contenuto minuziosamente previsto dal regolamento. Lo zaino modello 1893, in tela nera, resa impermeabile dall'applicazione di uno specifico prodotto, aveva un sistema di attacchi e di regolazioni così complicato da richiedere spesso l'aiuto di un commilitone per poter essere indossato correttamente. Da regolamento, all'interno vi trovavano posto viveri, munizioni di riserva, effetti personali e biancheria, un paio di scarpe di ricambio, attrezzi da scavo ed altri utensili, una gavetta, un paio di recipienti, di cui uno da due litri, sacchetti di sale, zucchero e caffè. In ogni plotone era previsto che un soldato si accollasse anche il peso di un grosso macina-caffè collettivo. A quanto pare lo stato maggiore si era sentito in dovere di imporre alla truppa il piacere di gustare un buon caffè appena macinato.
    Anche per i più fortunati a cui non capitava in dote il macinino di plotone il peso dello zaino superava i trenta chili, a cui si dovevano aggiungere il fucile, circa quattro chili, la baionetta, il cinturone, le giberne, colme di munizioni e la borraccia.
    La scelta francese, peraltro imitata, seppur con soluzioni più funzionali, anche da altri eserciti, di gravare il fante con oltre trenta chili di zaino al fine di renderlo autonomo è rivelatrice dell'incapacità degli stati maggiori di sviluppare un efficace servizio di sussistenza e persino di comprenderne l'importanza decisiva nel teatro di operazioni.
    Complessa e laboriosa fu anche la sostituzione del chepì di panno che non offriva alcuna protezione al capo. La constatazione che erano sufficienti le più piccole schegge di granata o di pietrisco per mietere vittime tra le truppe allarmò lo stato maggiore francese che cercò frettolosamente di correre ai ripari.
    Prima di giungere alla progettazione di un elmetto che coniugasse caratteristiche protettive e portabilità, la Direzione dell'Intendenza mise in produzione e distribuì alle truppe, a partire dalla primavera del 1915, una calotta metallica senza né imbottitura né aerazione, la cosiddetta "cervelliera", da inserire nella fodera interna del chepì. Furono predisposte tre taglie approssimative: piccola, media e grande che si rivelarono subito piuttosto scomode ed inefficaci.
    In una nota del Quartier generale francese del 6 aprile 1915 è contenuto un primo bilancio, tutt'altro che incoraggiante, sull'impiego delle "cervelliere": "La calotta metallica è da troppo poco tempo in servizio per constatarne l'efficacia. E' stato comunque dimostrato che presenta i seguenti inconvenienti: si applica con difficoltà al chepì, non copre sufficientemente il capo e richiede il continuo uso del soggolo del chepì. Delle leggere ferite per attrito si producono frequentemente sul cranio e sulle tempie; la calotta metallica dà inoltre una sudorazione costante".

    Mentre i fanti in trincea mal sopportavano la tortura imposta dalla "cervelliera", l'Intendenza passò all'esame di alcuni progetti di elmo protettivo: uno proponeva la messa in produzione di un elmo simile a quello tradizionalmente indossato dai dragoni, realizzato però in acciaio, anziché in cuoio, con un peso superiore agli 850 grammi; un altro ipotizzava una forma molto meno appariscente, caratterizzata da un crestino appena accennato e da una visiera molto ampia, e l'impiego di una speciale lega di nichel ed alluminio, detta Inoxus, al fine di contenere il peso del copricapo entro i 600 grammi. Questi progetti furono giudicati meno convincenti di quello presentato dall'intendente generale colonnello Adrian, destinato a legare il suo nome ad uno degli elmetti più famosi della storia.

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    L'elmetto francese Adrian


    Nel maggio del 1915 il ministero della Guerra approvò la produzione dei primi esemplari ed affidò l'appalto a cinque fabbriche, incaricate di fornire nell'arco di pochi mesi una valida protezione al capo di oltre due milioni di francesi in uniforme. La fabbricazione dell'elmo partiva da un foglio di acciaio, di 33 cm di diametro ed i 0,77 mm di spessore, da cui si ricavava, con una lavorazione a freddo, la calotta, successivamente veniva fissato il caratteristico crestino, infine venivano montate la visiera ed il para-nuca. L'elmo, del peso di circa 700 grammi, era rifinito con la verniciatura in "bleu horizon", l'applicazione del fregio dell'arma, dell'imbottitura in pelle e del soggolo.
    A partire dal secondo semestre del 1915, l'elmetto Adrian fu distribuito alle truppe, dimostrandosi una valida protezione almeno contro le schegge più piccole di shrapnel. Verso la fine del conflitto vennero prodotti anche altri modelli, rinforzati con piastre d'acciaio, si trattò però di modelli sperimentali che ebbero un impiego limitato.
    Pur con i suoi limiti protettivi, l'elmo Adrian ottenne una grande successo e fu adottato, con la sola eccezione dell'Inghilterra e degli Stati Uniti, da tutti gli eserciti dell'Intesa, tra cui anche quello italiano.

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    Soldato francese nel 1914, all'inizio della guerra. Ad esclusione dell'armamento, la divisa era la stessa della guerra Franco-Prussiana del 1870

    Guetteur_au_poste_de_l'écluse_26

    Divisa successiva del 1915 con elmetto Adrian, colore azzurrino
     
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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    Conoscete tutti l'espressione "Scemo di guerra". Era il modo grezzo tipicamente italiano per definire chi era rimasto scioccato dai bombardamenti e dalle violenze di trincea. Una sorta di Sindrome da stress post traumatico ante litteram. Solo che ebbe delle proporzioni enormi.
    All'estero era conosciuta come Shellshock