100 anni dalla Grande Guerra

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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    La propaganda italiana nella prima guerra mondiale

    Il primo conflitto mondiale, oltre a provocare milioni di morti in tutto il continente, vide un uso mai visto prima della propaganda.
    Si è parlato a lungo delle tecnologie impiegate su larga scala nella terribile guerra che devastò l'Europa tra il 1914-1918 e trascinò con sé altre zone del mondo nel conflitto, meritandosi così l'epiteto di "mondiale" o in alternativa di "La grande guerra".
    I carri armati, gli aerei (impiegati in realtà dall'Italia in precedenza nel conflitto in Libia - 1911), i gas mortali e le mitragliatrici fecero la loro comparsa per la prima volta sui campi di battaglia.
    La guerra era "Grande" anche perché mai prima d'ora si era visto un dispiegamento simile di risorse, uomini e mezzi. 100 anni prima Napoleone aveva invaso la Russia con un'armata di 500.000 soldati; a fine del conflitto mondiale 600.000 erano i caduti solo da parte italiana. Nella guerra civile americana si era avuto solo un assaggio di quella che più tardi sarebbe stata conosciuta come "guerra di posizione".
    Eppure non va tralasciato il fatto che nell'enorme mobilitazione di uomini, mezzi e sopratutto denaro, la propaganda avesse un ruolo più grande di quello che potrebbe sembrare a prima vista.
    Il primo conflitto mondiale costrinse le nazioni belligeranti a dar fondo a tutti i loro apparati industriali ed ai capitali disponibili, tanto che tutti i paesi partecipanti ricorsero ai prestiti (diventati poi debiti di guerra) e ci misero anni ad eseguire la cosiddetta "riconversione industriale". Solo recentemente ad esempio la Gran Bretagna ha saldato i propri debiti, tanto per avere un'idea.
    Fu così che nacque ad esempio l'idea dei buoni di guerra; i cittadini avrebbero dovuto prestare del denaro allo stato, permettendo a questo di poter continuare a comprare armamenti, munizioni e cibo ai propri soldati. Per far si che i cittadini si convincessero a concedere denaro allo stato, fu però necessaria una continua e massiccia propaganda realizzata soprattutto mediante poster, francobolli e volantini. Non solo il denaro muoveva i fili della propaganda governativa. Nel maggio 1915 in Italia un'ordinanza impedì la pubblicazione delle notizie sgradite e sfavorevoli al morale della popolazione; le lettere dei soldati al fronte erano spesso sottoposte alla censura e niente doveva trasparire di negativo dalla vita dei soldati. Né la mancanza di cibo, né le terribili condizioni igieniche (responsabili tra l'altro della diffusione verso la fine del conflitto della famosa epidemia di febbre spagnola che fece 50 milioni di morti in tutto il mondo - circa 400.000 nel nostro paese) né infine tanto meno la morte e la distruzione doveva raggiungere la popolazione e fiaccarne la resistenza.
    L'arma della propaganda si rivelò comunque un arma a doppio taglio; spesso gli schieramenti avversari cercarono di convincere i soldati del fronte avverso a disertare e furono necessarie diverse contromisure per poter bloccare i tentativi del nemico. Celebre rimane sicuramente il gesto audace del poeta D'Annunzio, il quale il 9 agosto 1918 lanciò sulla capitale dell'impero austro-ungarico (Vienna) 350.000 volantini con un testo che recitava:

    VIENNESI!
    Imparate a conoscere gli italiani.
    Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.
    Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
    Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni.
    VIENNESI!
    Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi.
    Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola.
    POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi cari. Svegliati!
    VIVA LA LIBERTÀ!
    VIVA L'ITALIA!
    VIVA L'INTESA!


    Amanti della Storia

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    8 OTTOBRE 1917 : IL SERGENTE YORK.
    Alvin York nacque nel Tennessee il 13 dicembre 1887 rivelandosi ben presto un attaccabrighe e ubriacone. Tuttavia era abilissimo nell'uso delle armi: ogni colpo era un centro sicuro. La sua vita cambiò per amore di una ragazza, Gracie Williams, poi nel 1914, a 27 anni, dopo una crisi religiosa divenne seguace della Chiesa di Cristo nell' Unione cristiana, una setta minoritaria, ma estremamente rigorosa.
    Fu chiamato alle armi nell’ aprile 1917 quando gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Si dichiarò, per motivi religiosi, obiettore di coscienza. Ma l' Esercito non ne tenne conto e lo arruolò ugualmente nell' 82ma divisione di fanteria destinata al fronte francese. Dopo settimane di profonda crisi, York si convinse che combattere era un dovere per mettere fine in fretta alla guerra risparmiando così molte vite umane. All'alba dell' 8 ottobre 1917, nella Foresta delle Argonne, York e altri sedici soldati partirono con l'incarico di prendere il controllo di una linea ferroviaria ma per errore finirono oltre le linee nemiche.
    I tedeschi colti di sorpresa cominciarono a difendersi sparando con le mitragliatrici. Nove americani caddero uccisi. Allora York si fecei largo col suo fucile Enfield. Finiti i proiettili usò la Colt 45, aggirò le mitragliatrici e ad una ad una le rese inoffensive. Alla fine uccise 25 tedeschi, mise fuori uso 35 mitragliatrici e catturò 132 prigionieri. Quando tornò a casa venne salutato come una gloria nazionale ed insignito della Medaglia d'Onore del Congresso..
    Una storia così non poteva non ispirare un film. Nel 1941 Il regista Howard Hawks si mise all' opera con il grande Gary Cooper ( in immagine) nelle vesti del sergente York alla sceneggiatura collaborò John Huston. Ne venne fuori un' opera di straordinario successo con 10 nomination ai premi Oscar, che comportarono una statuetta per Gary Cooper e una per il montaggio;. Nel 2008 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
    Antonio A. – Fonte:Archivio storico Corriere della Sera

     
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    Culla Bianconera

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    «Rompere le scatole» e altri modi di dire della Grande guerra

    La prima guerra mondiale ha avuto conseguenze fondamentali sulle istituzioni politiche, sulle società contemporanee, sulla mentalità delle persone e, anche, su un elemento che probabilmente non viene spesso preso in considerazione: i modi di dire.

    La Grande guerra coinvolse il Regno d’Italia dal maggio 1915 fino al novembre 1918, anno in cui fu firmato l’armistizio di Villa Giusti che pose fine ai combattimenti al fronte. Per tutta la durata del conflitto molte espressioni e “neologismi” furono utilizzati dai soldati in trincea, per poi diffondersi in tutta Italia nel linguaggio comune.
    Gli esempi sono davvero numerosi: il termine «cecchino», il quale indica generalmente un tiratore scelto, trova la sua origine etimologica nel nome dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, mentre «Caporetto» evocherebbe la disfatta subita dall’esercito italiano nell’autunno del 1917 a vantaggio delle forze austro-tedesche.

    La parola «crucco», generalmente utilizzata per definire in modo negativo un soldato tedesco, proviene dalla lingua slovena: Kruh significa pane ed infatti era proprio questo che i soldati sloveni delle armate nemiche supplicavano, una volta catturati dagli italiani.
    Altrettanto drammatica è l’origine dell’espressione «rompere le scatole». Si riferisce al comando che veniva impartito ai soldati quando, pochi istanti prima dell’assalto, dovevano sfasciare gli involucri di cartone contenenti i pacchetti di cartucce di munizioni per i fucili. Rompere le scatole equivaleva quindi ad una morte praticamente certa.

    In relazione al munizionamento delle armi, nacque anche l’espressione «avere le palle girate»: la pratica di sfilare le pallottole dai bossoli e reinserirle capovolte era molto comune negli eserciti italiano e austro-ungarico. Si trattava di un metodo sbrigativo (e vietato) che aveva come obbiettivo quello di rendere più letale l’attacco.
    La pallottola girata, infatti, esponendo il fondello di piombo nudo, non incamiciato dal rame, si espandeva «a fungo» al momento dell’impatto determinando gravi ferite. Produceva un effetto paragonabile a quello delle pallottole «dum dum», inventate alla fine dell’800 dagli inglesi in india e messe fuori legge dalla Convenzione dell’Aia del 1889.

    Fonti

    M. D’Andrea, Palle girate e altre storie: cose curiose della Grande guerra, Azzurra, 2015.

    La Stampa
     
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  4. Simo0'Rulez2
     
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    Ricordiamo con disprezzo il boia Cadorna a cui i milanesi hanno pure dedicato una stazione. Fautore della tattica "carne da cannone", riusciva a vincere battaglie perdendo piú uomini dei vinti. Spesso nelle trincee si contavano più morti con colpi alla schiena che falciati dal fuoco nemico. Spero stia marcendo all'inferno
     
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    CITAZIONE (Simo0'Rulez2 @ 25/12/2016, 10:43) 
    Spero stia marcendo all'inferno

    Assai probabile. Assieme a Foch, Haigh ed altri comandanti in capo che non ci capivano un cazzo
     
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