Pillola abortiva più che dibattiti etici servono informazioni scientifiche

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    Madre, donna, lesbica. What else?

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    Culla Bianconera

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    Pillola abortiva più che dibattiti etici servono informazioni scientifiche

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    Per aborto si muore, ancora oggi, nel XXI secolo, senza mammane (“ostetriche alternative”) e senza prezzemolo (usato in passato proprio per questo scopo). La notizia ha avuto un’ampia diffusione sui giornali e alla televisione: una giovane donna di 37 anni è deceduta a Torino dopo aver preso la pillola abortiva. È il primo caso in Italia.

    Ce ne sono stati altri nel mondo (documentati dalla letteratura scientifica) da quando è stata introdotta l’interruzione di gravidanza con i farmaci, ma quello di Torino sembra abbastanza anomalo e non strettamente legato ai farmaci abortivi.

    I medici parlano di crisi cardiaca (di solito le complicanze legate alla somministrazione di medicine che inducono l’aborto sono dovute o a infezioni o a emorragie) e solo l’autopsia potrà dire che cosa è davvero successo.

    Nel frattempo però si è riaperto il dibattito sul tema. Forse più scientifico che ideologico. Per fortuna.

    Alcune illustri parlamentari adesso dicono che il metodo chirurgico è migliore di quello medico e auspicano che il trattamento venga praticato in ospedale e non in ambulatorio. Meno male: hanno sdoganato il ricorso all’aborto. Perché fino a poco fa si parlava di obiezione di coscienza (cioè di rifiuto da parte dei medici di assistere una donna che aveva fatto questa scelta). Che ancora esiste.

    In Italia, quando si parla di argomenti legati alla riproduzione e, in definitiva, alla sessualità, (pillola contraccettiva, pillola del giorno dopo, pillola abortiva, fecondazione in vitro), almeno finora, ha sempre prevalso il dibattito ideologico-etico-politico rispetto a quello medico- scientifico- sociale, che è invece importantissimo per una scelta consapevole e informata da parte delle donne (le vere protagoniste della situazione).

    E la testimonianza di un cambiamento di rotta si è avuto con la recente decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la norma della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita che proibisce la fecondazione eterologa (bellissimo il fondo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di venerdì 11 aprile)

    Ma ritorniamo al caso di Torino e alla pillola abortiva.

    Dicevamo che è ancora misterioso.

    E allora andiamo a spulciare la letteratura scientifica per cercare di capire quali sono i rischi dell’aborto farmacologico rispetto all’aborto chirurgico.

    Ecco, intanto, in che cosa consiste l’aborto farmacologico.

    La procedura (qui sintetizzata) prevede che si somministri alla donna il mifepristone, il famoso RU486, che impedisce l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero e poi una prostaglandina che ne favorisce l’espulsione.

    Non sempre questa procedura funziona e in qualche caso ci possono essere effetti collaterali e anche rischi di morte (27 quelle segnalate da quando questa metodica è stata introdotta in clinica)

    Secondo i dati dell’Fda, l’ente americano che controlla il corretto uso dei farmaci negli Stati Uniti, sono stati eseguiti oltre un milione e cinquecentomila aborti farmacologici, con un totale di 14 morti legati alla procedura. Ed è stata segnalata una serie di effetti collaterali più o meno importanti: 336 emorragie, 256 infezioni di cui 48 gravi e altri disturbi. Le infezioni, come segnala un lavoro pubblicato dal Journal of Obstetric and Gynaecology sono dovute a batteri del genere Clostridium (ma se questo è vero perché non si somministrano antibiotici durante le procedure abortive?).

    Allora è meglio l’aborto farmacologico o quello chirurgico? E qui si apre un dibattito infinito. Alcuni specialisti dicono di sì, altri di no. E la donna è chiamata a decidere se scegliere l’una o l’altra soluzione.

    Ci si rende conto a questo punto di quanto siano difficili le scelte in medicina che si basano, oggi molto più che in passato, su calcoli statistici e probabilistici. E di quanto sia indispensabile una corretta informazione, con l’aiuto anche dei media. E, soprattutto, di un vero rapporto di fiducia con il proprio medico, generico o ginecologo, in questo caso particolare. Difficilissimo. Ultradifficile. Oppure no?

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  2. ScreamingBunny
     
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    Non si somministrano antibiotici proprio perché favorirebbero il clostridio, a meno di somministrare antibiotici specifici per clostridio, che però non sarebbero efficaci contro tutti gli altri batteri più comuni. Trattandosi di un'evenienza rara, sarebbe assurdo pensare ad una multiantibioticoterapia con tanto di effetti collaterali anche gravi ed insorgenza di resistenza (e costi esagerati).
    Questo per rispondere all'obiezione nell'articolo.
     
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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    L'altro problema è che un farmaco spesso rivela alcuni effetti avversi solo quando viene messo in commercio e viene assunto da migliaia di pazienti, con tutta la variabilità genetica possibile immaginabile. :sisi:
     
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2 replies since 16/4/2014, 14:22   26 views
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