L'angolo della ricorrenza

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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    1 luglio 1916: il giorno più lungo

    Cento sono gli anni esatti che oggi ci separano da una delle più sanguinose battaglie della Prima Guerra Mondiale: la Battaglia della Somme.

    Il 28 giugno 2014 è stata la data che ha segnato l’inizio di un lungo periodo di commemorazioni. Commemorazioni speciali di giornate particolari di un evento tanto spettacolare quanto catastrofico: stiamo parlando della Prima Guerra Mondiale, al tempo “la Grande Guerra”. Il percorso tra Storia e Memoria cominciato in occasione dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo che condurrà poi allo scoppio del conflitto (28 luglio 1914) si chiuderà soltanto l’11 novembre 2018, segnando la fine dei centenari relativi alla Grande Guerra. E tra i tanti centenari che questo lungo periodo di commemorazione conta, il 1° luglio 2016 è sicuramente uno dei più importanti. Il 1° luglio 1916, infatti, cominciò una delle più catastrofiche battaglie della Grande Guerra: la Battaglia della Somme. Benché non fu la più sanguinosa, certamente fu una delle più tragiche combattute durante il conflitto.
    Questo articolo non si pone l’obiettivo di analizzare minuziosamente cosa accadde durante la battaglia né tanto meno essere un’opera storiografica. L’obiettivo è, semplicemente, dare un quadro generale della battaglia e degli avvenimenti e, soprattutto, di ricordare coloro che combatterono (e morirono) sui campi della Piccardia francese con il cominciare di quell’offensiva e ricordarne le imprese e le sofferenze, indipendentemente dal Paese servito.

    Perché l’offensiva sulla Somme?

    Da alcuni mesi l’esercito francese, diversi chilometri a sud del paese, nei pressi di Verdun, combatteva una tremenda battaglia di logoramento contro l’esercito tedesco. I reduci di entrambe le fazioni, finita la guerra, si ritroveranno spesso a commemorare assieme i giorni di quella battaglia, che fu caratterizzata da un paesaggio alienante ed estremamente ostile, dove la morte era sempre in agguato.

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    Un soldato tedesco osserva il disastro campo di battaglia di Verdun. A fianco a lui, due soldati morti e un elmetto francese “Adrian”, 1916.

    La Battaglia di Verdun (21 febbraio 1916 – 19 dicembre 1916) non fu la più violenta battaglia della Grande Guerra. Ma fu sicuramente una delle più sofferte e spaventose, tant’è che il suolo dove si svolsero gli scontri deteneva il primato di cadaveri per metro quadro. In Francia la battaglia divenne una sacra leggenda nazionale, un vero e proprio simbolo di coraggio, sofferenza e di orgoglio francese. Verdun, però, non aveva alcuna importanza strategica. Lo Stato Maggiore generale tedesco aveva deciso di attaccare lì per motivi essenzialmente propagandistici e morali: infatti, l’obiettivo era quello di impegnare e dissanguare l’esercito francese e di colpirlo nel suo orgoglio. Fu una provocazione alla quale i francesi risposero “cascando nel tranello”, sacrificando migliaia di uomini per difendere l’orgoglio nazionale.

    Sebbene i francesi riuscirono a resistere, la pressione esercitata dall’esercito tedesco e l’ingente numero di soldati, mezzi ed energie impegnati nel respingere l’offensiva germanica, misero a dura prova l’esercito dei difensori. Per alleggerire la pressione, occorreva impegnare i tedeschi su un altro fronte. La Francia diede dunque via libera alla Gran Bretagna nel preparare e sferrare un’offensiva capace di rompere lo stallo e occupare la Germania in altri combattimenti. Nonostante i vertici massimi dell’esercito francese e inglese avessero un’opinione contraria su dove – e come – sferrare l’offensiva, dopo lunghi dibattiti il luogo venne scelto: la regione della Piccardia, dove scorreva il fiume Somme.



    Le 18 divisioni britanniche della Quarta Armata (comandata dal generale Rawlinson) avevano l’obiettivo di sfondare tra Maricourt e Serre per poi catturare le alture tra Bapaume e Ginchy; nel frattempo, i francesi avrebbero conquistato le alture tra Sailly e Rancourt. Una volta fatto ciò, le truppe dell’Intesa avrebbero potuto avanzare verso sinistra fino ad Arras per affiancare i tedeschi e poi dirigersi verso Cambrai e Douai. Altre due divisioni al comando del generale Allenby avrebbero dovuto effettuare un attacco a Gommecourt ed i francesi, forti di 5 divisioni, attaccare in direzioni di Peronne.



    Comandanti a confronto: a sinistra, il Capo di Stato Maggiore tedesco, Eric von Falkenhayn; a destra, il generale britannico a capo della B.E.F. dal 1915, Douglas Haig.

    L’esercito inglese impegnò un enorme quantitativo uomini e soprattutto di risorse materiali per l’offensiva. Un gran numero di pezzi d’artiglieria e di munizioni era disponibile per l’esercito di Sua Maestà Giorgio V, che vennero usate per martellare le linee nemiche. La battaglia della Somme vide uno dei più lunghi – se non il più lungo – bombardamento di artiglieria della guerra moderna: il 24 giugno 1916 il Primo Ministro francese Aristide Briand chiese al generale Haig, capo delle forze di spedizione britanniche, di cominciare subito l’attacco sulla Somme; Haig rispose che ciò non era possibile, ma ordinò all’artiglieria di cominciare il bombardamento preparativo. Fu così che per ben 5 giorni, dal 24 giugno al 29 giugno (data prevista per l’attacco, rinviata poi al 1° luglio), l’artiglieria inglese martellò ininterrottamente le linee tedesche, sparando un quantitativo ingente di bombe, granate e shrapnel.

    Su richiesta stessa dei francesi, l’attacco fu però rinviato al 1° luglio a causa di un peggioramento delle condizioni atmosferiche. Questo comportò una dispersione dei colpi visto l’allungamento del periodo e dunque anche una perdita di efficacia del bombardamento stesso. Stavolta, a soffrirne, furono anche gli attaccanti: equipaggiati e caricati per l’imminente attacco, dovettero aspettare altre 48 ore in scomode, anguste e malsane trincee avanzate, in condizioni meteorologiche sfavorevoli e con l’assordante rumore del loro stesso bombardamento.



    Alle ore 7:00 il bombardamento alleato raggiunse l’apice dell’intensità. Una pioggia di esplosivi si abbatté sulle linee tedesche, tanto potente da poter essere udita fino a nord di Londra. Oltre all’artiglieria, furono fatte brillare delle potenti mine per piegare ulteriormente le difese avversarie. Il tiro dei cannoni inglesi si spostò in profondità, colpendo le trincee tedesche nelle retrovie. L’inizio dell’assalto era ormai questione di minuti.

    1 luglio 1916, ore 7.30: Comincia la battaglia della Somme.

    Alle ore 7:30 del 1° luglio 1916, dopo giorni di violentissimi bombardamenti, i fischietti degli ufficiali inglesi e francesi suonarono all’unisono e l’offensiva venne sferrata su un fronte di 40 chilometri. In prospettiva di un bombardamento simile, ci si aspettava che i difensori fossero ridotti allo stremo: decimati, demoralizzati e tagliati fuori dal resto del loro esercito. Disorganizzati, frastornati, incapaci a reagire. Se le condizioni fossero state per davvero queste, conquistare le trincee avversarie sarebbe stato un compito certo sempre rischioso, ma relativamente facile.



    I soldati inglesi erano carichi di equipaggiamento e marciavano in fila, prevalentemente in salita, verso le posizioni tedesche. I soldati trasportarono con loro grandi quantità di materiale poiché l’obiettivo era quello di fortificare con ogni mezzo possibile le posizioni appena catturate ai tedeschi. E probabilmente l’avrebbero fatto, se non fosse stato per uno spiacevolissimo inconveniente di importanza più che vitale: le previsioni dei comandi dell’Intesa erano sbagliate ed i tedeschi, tutt’altro che decimati, avevano mantenuto le posizioni.

    La sorpresa e la carneficina.


    Le truppe britanniche furono colte totalmente impreparate. Muovendosi lentamente allo scoperto ed in formazioni compatte, gravati dal peso dell’equipaggiamento e trovandosi più in basso rispetto alle posizioni tedesche, gli attaccanti furono facile preda per le mitragliatrici ed i tiratori tedeschi che, non appena uscirono dai rifugi sotterranei, si trovarono davanti un’enorme massa di soldati che avanzava lentamente senza ripararsi, quasi ignara del pericolo. Su di loro si riversò una vera e proprio pioggia di proiettili che decimò centinaia di soldati in pochi istanti. L’attacco prendeva, già dall’inizio, una piega inaspettata e sfavorevole per gli aggressori.

    Paradossalmente, solo quando buona parte delle prime ondate fu decimata, l’avanzata alleata fu possibile. I pochi superstiti non sopraffatti dalla paura o traumatizzati si organizzarono in piccoli gruppi, strisciando furtivamente tra una buca e l’altra e cogliendo di sorpresa le posizioni tedesche. Tuttavia, divisi e disorganizzati come erano, i soldati inglesi non riuscirono a coordinarsi per eliminare tutte le potenziali minacce e fu così che molti nidi di mitragliatrici germaniche vennero lasciati alle spalle, costituendo delle gravi minacce per l’avanzata delle truppe di rinforzo. Oltretutto, i fulminei contrattacchi tedeschi erano troppo numerosi per essere respinti dai manipoli di coraggiosi britannici che erano riusciti ad avanzare. Alcuni gruppi vennero isolati, mentre i contrattacchi rendevano impossibile l’arrivo dei rinforzi. In alcuni punti l’esercito inglese, invece di avanzare, si ritrovò addirittura ad arretrare, vista la disorganizzazione e l’inaspettata resistenza.



    Sarebbe lungo, difficile e complesso studiare e riportare con critica ed attenzione, nonché formulare delle conclusioni ben ragionate, le azioni delle singole unità nei vari settori dove si combatté quel giorno. Si può però dire, in maniera molto generale, che la città di Montauban, grossomodo al centro dell’offensiva, funge da spartiacque per fornire una panoramica generale del 1° giorno di battaglia: a nord della città, infatti, le divisioni britanniche subirono perdite spaventose e solo in pochi casi isolati riuscirono a raggiungere l’obiettivo prefissato. Gli ufficiali erano completamente ignari dello sviluppo della battaglia e le comunicazioni erano inefficienti, rendendo quindi praticamente impossibile un’azione coordinata volta a far proseguire efficacemente la battaglia. A rendere più difficile la coordinazione di azioni isolate fu anche l’elevata mortalità degli ufficiali che quel giorno attaccarono con il resto dell’esercito, poiché vestivano ancora una divisa differente che i tedeschi avevano imparato a riconoscere… e a prendere di mira. A tutto ciò, va aggiunto che a partire dall’anno precedente l’esercito tedesco – prendendo spunto da alcuni documenti rubati ai francesi – aveva sviluppato un sistema di organizzazione e difesa delle trincee (la cosiddetta “difesa elastica”) contro il quale l’Intesa faticò e tardò molto nello sviluppare una strategia efficace.



    A sud di Montauban, invece, il quadro generale era decisamente migliore: dalla città stessa alla Somme i soldati dell’Intesa riuscirono a raggiungere tutti gli obiettivi del 1° giorno, mentre a sud della Somme le divisioni francesi, supportate da un’artiglieria esperta e da tattiche differenti, raggiunsero gli obiettivi senza subire troppe perdite. Questo fu possibile anche perché in quei settori la difesa tedesca era debole, oppure non si aspettava un attacco, ritenendo che esso si sarebbe verificato solo nel settore inglese.



    In generale, la prima giornata fu una vera e propria carneficina: gli inglesi contarono poco più di 57.000 perdite tra morti (poco meno di 20.000 uomini), feriti (circa 35.000 uomini), disperi e prigionieri. Più difficile è invece stabilire il numero delle perdite tedesche: si stima che nel settore inglese persero circa 10.000 uomini, ovvero circa 8000 caduti e attorno ai 2000 prigionieri. Il tutto per un’avanzata che a volte faceva fatica a superare il chilometro.

    Perché l’insuccesso del primo giorno?

    A questo punto verrebbero da farsi delle domande. Come avevano fatto i tedeschi a resistere? Il bombardamento servì a qualcosa? Chi aveva ideato l’offensiva aveva considerato queste probabilità? Gran parte della storiografia concorda sul fatto che la Battaglia della Somme fu l’esempio lampante dell’incapacità strategica e tattica e del pressapochismo con i quali i vertici del corpo di spedizione britannico preparò ed affrontò l’offensiva. In meritò a ciò i tedeschi erano soliti dire: “Gli inglesi sono leoni comandati da somari”. Il dibattito è ancora aperto e acceso; tuttavia, è possibile tracciare, in maniera riassuntiva e non approfondita, alcune delle cause che fecero sì che l’assalto del primo giorno si trasformò in quella carneficina che oggi ben conosciamo.

    In realtà già da qualche tempo i tedeschi avevano capito che qualcosa di grosso si stava muovendo, poiché i lavori di fortificazione e gli spostamenti di materiali e truppe erano stati prontamente notati dai comandi tedeschi. Lo stesso Erich von Falkenhayn, comandante dell’esercito tedesco sul Fronte Occidentale, data la vistosità dei preparativi, ritenne che un’offensiva era imminente; tuttavia, giudicò quegli spostamenti – a detta sua troppo vistosi – un diversivo ed ipotizzò di conseguenza che l’offensiva vera e propria sarebbe stata lanciata più a nord. A cancellare definitivamente l’effetto sorpresa fu anche la preparazione delle mine da parte dell’Intesa: di fronte a dei lavori così vasti lo scatenarsi di un’imminente offensiva era palese ed i tedeschi corsero a rinforzare i ripari sotterranei. Tuttavia, solo dopo qualche giorno l’inizio della battaglia i comandi tedeschi si convinsero che era proprio la Somme l’obiettivo scelto da Haig.

    Nonostante il bombardamento preparatorio ebbe un’indubbia efficacia sul morale dei soldati tedeschi, sul piano pratico ne ebbe decisamente meno: molti dei proiettili sparati nei giorni precedenti erano difettosi o di piccolo calibro; oltretutto, i danni creati dalle esplosioni furono per la maggior parte leggeri e danneggiarono solo le trincee in superficie, creando contemporaneamente numerosi crateri entro ai quali si poteva trovare riparo, crateri che in seguito gli stessi tedeschi usarono per ripararsi una volta cominciata l’offensiva. I difensori avevano fortificato la zona e costruito numerosi rifugi sotterranei, robusti e ben difendibili, dentro ai quali resistettero per tutta la durata del bombardamento, preservando gli uomini e anche la posizione. Inoltre, l’organizzazione delle trincee tedesche – basata sul principio della difesa elastica – rese il bombardamento ancora meno efficiente.



    In quel settore l’aeronautica britannica (Royal Flying Corps) aveva ottenuto una momentanea supremazia aerea: tramite voli di ricognizione ed i palloni aerostatici i comandi dell’Intesa potevano avere una chiara visione del campo di battaglia e sfruttarono ciò per indirizzare al meglio i tiri dell’artiglieria e, contemporaneamente, impedire all’avversario di fare lo stesso. Ciononostante, le ricognizioni effettuate mostrarono che i bombardamenti preparatori furono del tutto inefficaci. E’ sorprendente sapere che lo Stato Maggiore inglese, nel preparare l’offensiva, ignorò completamente i resoconti di questi rapporti.

    La battaglia continua.

    Parlare della battaglia della Somme nella sua totalità richiederebbe un’ottima preparazione, molto tempo ed una particolare attenzione nel riportare, analizzare e trarre conclusioni dagli eventi che si susseguirono dal luglio al novembre del 1916. Tuttavia, non sarebbe giusto parlare di questa offensiva limitandosi solo al primo giorno. Volendo fornire una panoramica generale, semplice e non approfondita, è quindi necessario parlare – seppur brevemente – delle altre fasi della battaglia.

    Dopo il primo giorno.
    Dal primo giorno a metà luglio la situazione non variò molto. I comandanti francesi insistevano per recuperare le forze e sferrare un’unica grande offensiva; Haig e gli altri alti ufficiali inglesi volevano invece tenere sotto pressione il nemico. Al fine di ciò, una serie di piccoli attacchi (non coordinati) venne lanciata dagli inglesi in quelle due settimane iniziali. Naturalmente, questi attacchi furono totalmente inefficaci, anche perché vennero lanciati nel settore a nord, dove la resistenza tedesca era più tenace: non si conquisto terreno ed i tentativi costarono la vita di decine di soldati del Commonwealth.Al contrario, il settore a sud sembrava meno difeso, ma i comandi dell’Intesa non ne approfittarono e anche lì i tedeschi si apprestarono a fortificare le posizioni e rendere inefficace qualsiasi attacco successivo.


    Truppe francesi all’assalto durante la Battaglia della Somme, 1916.

    La “svolta” di metà luglio.
    Dopo insuccessi ed indecisioni varie, lo Stato Maggiore inglese concesse al generale Rawlinson, non senza diatribe, di sferrare un’offensiva presso il crinale di Bazentin il 14 luglio. L’obiettivo era catturare la trincea di seconda linea tedesca, che correva lungo la cresta delle colline da Pozières, sulla strada Albert-Bapaume, in direzione sudest, verso i villaggi di Guillemont e Ginchy. La trincea era situata tra due boschi: a sinistra quello Bazentin-le-Petit e sulla destra quello Delville. Davanti ad essi, sul crinale opposto, vi era il “Bosco Alto”, altro teatro di guerra di quella piccola offensiva.
    L’azione fu un discreto successo, ma gli inglesi non riuscirono ad approfittare dello sfondamento della linea e i tedeschi perfezionarono il loro sistema di difesa, bloccando le successive avanzate. I combattimenti proseguirono per diversi giorni nei boschi e nelle zone adiacenti.


    La mappa che mostra il piano di azione per Bazentin. La linea rossa tratteggiata mostra il progresso dell’avanzata inglese alle ore 9:00 di mattina (l’attacco era stato lanciato circa 6 ore prima).

    I successivi attacchi fallirono e si decise dunque di ripiegare verso Pozières, in modo da attaccare al fianco le difese tedesche a settentrione. Tra il 14 ed il 17 luglio vennero lanciati degli attacchi che però fallirono e quindi la responsabilità in quel settore venne passata al tenente generale Hubert Gough e la sua armata di riserva, che contava 3 divisioni australiane.

    L’attacco venne programmato per la notte del 23 luglio, su insistenza del maggior generale Walker. La città venne presa e l’azione fu un successo; tuttavia, i tedeschi capirono l’importanza della posizione nel loro sistema difensivo e lanciarono ben tre (fallimentari) contrattacchi per riprenderla. Falliti i tentativi, l’artiglieria germanica bombardò la città prima di provare un ultimo assalto, lanciato l’8 agosto: inizialmente gli aggressori sopraffecero i difensori nelle trincee avanzate, nelle quali tedeschi e australiani combatterono furiosamente; alla fine degli scontri, tuttavia, gli attaccanti vennero respinti e la posizione rimase in possesso delle truppe australiane..



    Le settimane successive videro impegnate le truppe australiane in audaci azioni di attacco, che costarono la vita a parecchi soldati. Presa Pozières, Gough volle spingersi verso la fattoria Mouquet, che si trovava alle spalle di Thiepval, città nella quale i tedeschi si erano rifugiati. La fattoria stessa era diventata un vero e proprio caposaldo con un sistema di trincee e fortificazioni e gli australiani persero decine di uomini nel tentativo di conquistarla, sebbene di volta in volta accorciassero la distanza tra le loro linee e l’obiettivo. Il 16 settembre delle truppe canadesi occuparono per breve tempo la fattoria; tuttavia, la guarnigione tedesca a sua difesa si arrese soltanto il 27 settembre, quando ormai l’offensiva sul crinale di Thiepval infuriava da diverse ore.

    Battaglie di assestamento e attrito tra agosto e settembre del 1916.
    Ormai la battaglia della Somme infuriava da più di un mese e a quel punto Haig non poteva più sperare in un’azione di sfondamento che permettesse un’avanzata decisiva, visto che quel poco di slancio che l’offensiva stessa aveva acquistato era anche andato perso. Nondimeno, il 29 agosto, il capo di stato maggiore tedesco, Erich von Falkenhayn, venne rimosso dall’incarico e sostituito il generale Paul von Hindenburg (futuro presidente della Repubblica di Weimar); come vice entrò in carica il generale Erich Ludendorff.

    I tedeschi cominciavano a sentire il peso degli attacchi e per questo inaugurarono una nuova strategia difensiva: il 23 settembre cominciavano i lavori per la costruzione della Linea Hindenburg, chiamata così dall’Intesa.



    Forze inglesi e francesi dovevano però ancora incontrarsi. Il punto d’incontro designato era oltre i villaggi di Guillemont e Ginchy. E proprio su questi villaggi si concentrarono i comandanti dell’Intesa in quel settore. Per buona parte di agosto i villaggi furono oggetto di infruttuosi attacchi da parte delle forze anglo-francesi. La battaglia per Guillemont venne combattuta tra il 3 ed il 6 settembre 1916 ed i tedeschi opposero una strenua resistenza in condizioni disumane, come testimonia il filoso e scrittore tedesco (all’epoca tenente) Ernst Jünger, che partecipò alla battaglia. Presa la città di Guillemont, il 9 settembre le truppe irlandesi catturarono la ben fortificata città di Ginchy.

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    Queste piccole avanzate portarono il fronte inglese a diventare quasi rettilineo e a congiungersi, nei pressi di Combles, con quello francese, che nel frattempo aveva sferrato un’offensiva a sud nei pressi di Chaulnes e travolto le prime linee tedesche, catturando un gran numero di prigionieri.

    Fase finale.
    Le battaglie di Flers-Courcelette, Morval e Thiepval furono tra le ultime offensive rilevanti della battaglia della Somme. Haig preferiva di gran lunga la guerra d’attrito vista la disponibilità di materiale bellico; tuttavia, ormai c’era poco da fare se non sfondare definitivamente la linea tedesca, visti gli scarsi risultati ottenuti con le recenti azioni che, pur raggiungendo l’obiettivo, non avevano significativamente comportato nessun cambiamento di grande rilevanza, ma solo fatto arretrare i tedeschi di poco.

    Il 15 settembre venne lanciato l’attacco per sfondare le linee tedesche, attacco che poi sfociò nella battaglia di Flers-Courcelette. Mentre l’armata di riserva di Gough teneva il fianco sinistro, Rawlinson lanciò un’offensiva frontale tra Morval e La Sars, mentre i francesi premevano tra Combles e la Somme, con l’obiettivo di conquistare Combles stessa. In questa battaglia, per la prima volta, le truppe inglesi furono supportate dai carri armati, che però non contribuirono in maniera sostanziale allo svolgimento della battaglia poiché erano pochi e o ebbero guasti o si incastrarono nel terreno accidentato o non riuscirono a stare al passo con la fanteria. Lo scompiglio che la nuova arma poteva provocare venne vanificato con l’impiego in un’offensiva che, alla fine, ebbe uno scarso successo: il 22 settembre, su un fronte di 11 chilometri, gli attaccanti erano avanzati di circa 2-3 chilometri e con molte perdite, senza nemmeno riuscire a sfondare la linea nemica. Tuttavia, conquistarono alcune posizioni di rilievo.


    Battaglia di Flers-Courcelette, settembre 1916: soldati britannici in posa davanti ad un carro armato britannico, un MK.

    Il 25 settembre cominciò invece la battaglia di Morval. Le truppe britanniche e francesi attaccarono i villaggi di Morval, Gueudecourt e Lesboeufs, nei quali i tedeschi si erano insediati e proiettavano un saliente nel territorio conquistato dall’Intesa. Con questa battaglia l’Intesa riuscì a conquistare i tre villaggi sopracitati e, infine, a prendere Combles, città nei pressi della quale i due eserciti (francese e inglese) si congiunsero.

    Tra il 26 ed il 28 settembre venne lanciata l’offensiva sul crinale di Thiepvel. L’obiettivo era conquistare il crinale stesso e anche le tre ridotte (piccole fortificazioni) di Stuff, di Zollern e di Schwaben, che erano ben difese. I tedeschi opposero una fiera resistenza e solo il 28 settembre le truppe di Gough riuscirono a conquistare buona parte degli obiettivi, sebbene per il rastrellamento della zona bisognò aspettare qualche tempo.

    La battaglia delle Colline dell’Ancre e lo spegnimento dell’offensiva.

    Tra il 1° ottobre e l’11 novembre 1916 si svolse l’ultima offensiva della Battaglia della Somme. Le condizioni meteorologiche erano ormai da tempo avverse e non sarebbero certo migliorate con il passare del tempo e con l’avanzare dell’autunno. La battaglia, che fu caratterizzata da assalti sporadici (effettuati il 1, 8, 21, 25 ottobre ed il 10/11 novembre), generalmente interrotti o rinviati a causa della pioggia e del pantano, era un continuazione della battaglia di Thiepvel. Infatti, i tedeschi si erano ritirati dalla zona quando essa cadde in mano inglese tra il 26 ed il 28 settembre, ma trovarono riparo e si difesero con tenacia sulle alture, scavando trincee che vennero conquistate a carissimo prezzo, come la “Regina Trench” o la ridotta dello Schwaben.



    Battaglia della Somme: fallimento totale?


    E’ molto complesso valutare l’efficacia dell’offensiva britannica, visto che a distanza di 100 anni è ancora oggetto di dibattito tra gli storiografi e gli esperti di tattica militare. Indubbiamente, se l’obiettivo era quello di riuscire ad allentare la pressione tedesca su Verdun, certamente l’offensiva, in quel senso, ebbe successo: nei giorni successivi all’inizio della battaglia, diverse divisioni tedesche affluirono nella regione a rinforzare quelle già presenti. Da quel momento, a Verdun ogni iniziativa passò in mano al comando francese, mentre quello tedesco lasciò perdere ogni tentativo di attacco. La pressione esercitata dagli attacchi francesi a Verdun e a quelli anglo-francesi sulla Somme, impegnò così tanto l’esercito tedesco che esso si ritrovò quasi corto di divisioni. Nonostante i tedeschi stettero sulla difensiva, indubbiamente impegnarono un gran numero di uomini e risorse sia nella difesa che nei contrattacchi e c’è anche da considerare che lo Stato Maggiore dell’esercito del Kaiser conobbe cambiamenti ai vertici.



    Tuttavia, in circa 5 mesi di battaglia, l’Intesa subì terribili perdite. In una guerra complessa e totalmente nuova come fu la Grande Guerra, che si inseriva in un periodo storico nel quale l’Ottocento doveva ancora completamente concludersi ed il Novecento doveva ancora propriamente cominciare, aprire gli occhi e cambiare mentalità e strategie per rispondere alle esigenze di una guerra che mai si era vista prima e difficilmente si sarebbe potuta immaginare – nel 1914 tutti erano convinti che la guerra sarebbe durata poche settimane, al massimo qualche mese – pochi furono i comandanti che riuscirono ad adattarsi e, di certo, su questo l’Intesa dimostrò i suoi limiti anche con la Battaglia della Somme.


    Cimitero militare britannico presso Pozières, fotografia dei nostri giorni.

    Ancora più demoralizzante è pensare che l’Intesa perse più di mezzo milione di uomini tra morti, feriti, prigionieri e dispersi, solo per guadagnare solo qualche chilometro di territorio, sebbene questo significasse aver piegato le difese tedesche nel settore. La battaglia venne considerato un successo perché, effettivamente, l’Intesa era avanzata in territorio nemico e aveva alleggerito la pressione tedesca su Verdun, come pianificato da principio. Ma considerando le migliaia di vite stroncate e i pochi chilometri guadagnati, verrebbe difficile parlare di “successo”.
     
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    Culla Bianconera

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    2 DICEMBRE 1943: LA PEARL HARBOUR BARESE E LA SCOPERTA DELLA CHEMIOTERAPIA.

    La scoperta alla base della moderna chemioterapia antitumorale, basata sul principio che hanno alcune sostanze chimiche nel bloccare la replicazione di cellule in rapida crescita e divisione, fu fatta a Bari durante la Seconda Guerra Mondiale, conseguenza indiretta del devastante attacco aereo tedesco che colpì il porto del capoluogo pugliese.
    In quell’occasione si diffusero nell’aria e nell’acqua grandi quantità di sostanze chimiche che causarono circa duemila vittime, tra militari e civili. La storia del bombardamento del porto di Bari non è molto conosciuta: si era sul finire del 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’esercito nazista occupava militarmente l’Italia, con l’esclusione delle regioni meridionali.
    In quel periodo gli anglo-americani temevano un attacco da parte dei tedeschi a base di armi chimiche, anche se esse erano state bandite da due accordi internazionali nel 1921 e nel 1925.
    Per questo gli Alleati anglo-americani si erano preparati per poter rispondere subito all’eventuale attacco con il trasferimento nel porto pugliese migliaia di barili di iprite, un gas nervino.
    Evidentemente consideravano sicuro il luogo, fuori dal raggio d’azione dei bombardieri tedeschi. Esso faceva parte di un trasporto logistico dal Nord Africa alla Puglia per la 15^ Air Force americana di stanza a Foggia.
    Ma il porto era diventato sempre più importante sul piano strategico perché fungeva da transito di armi e rifornimenti e fu così che l’aviazione tedesca decise di far decollare tre squadriglie di bombardieri dal Nord Italia.
    L’attacco, imprevisto e improvviso, fu sferrato alle 19 e 25 del 2 dicembre, mentre nella città, che all’epoca contava circa 200.000 abitanti, fervevano i preparativi per le imminenti feste di San Nicola, il santo patrono. Oltre cento bombardieri bimotori Junkers 88 si avvicinarono da Nord volando indisturbati.
    L’attacco durò circa un’ora e furono sganciate su Bari tutte le bombe di cui i velivoli tedeschi disponevano colpendo numerose navi attraccate presso il molo foraneo. Tra di esse vi era il mercantile “ John Harvey” con oltre 500 uomini d’equipaggio, arrivato da pochi giorni dall’Algeria con un carico di 15.000 bombe chimiche. Ciascuna delle bombe conteneva circa 30 chili di iprite, come venivano chiamate le mostarde azotate.
    La Harvey fu colpita, insieme ad altre 16 navi, e dalle sue fiancate squarciate si rovesciarono nelle acque del porto grandi quantità di iprite, mentre si sollevava un’alta nube di gas tossico.
    Molti dei feriti più lievi rimasero a lungo in attesa di cure con indosso l’uniforme bagnata, intrisa di carburante e di iprite, sotto coperte asciutte che avevano lo scopo di riscaldarli, ma che favorirono anche l’assorbimento per contatto della pericolosa sostanza.
    Anche molti dei soccorritori ne furono esposti. Quella notte, il vento di scirocco fu provvidenziale, perché spinse il gas venefico lontano dalla costa e limitò così il numero dei morti anche tra la popolazione barese. Per i medici rimanevano inizialmente un mistero i sintomi tipici dell’intossicazione da gas manifestati dagli oltre 600 soldati ricoverati. Di questi, ben 83 morirono nelle settimane seguenti, mentre dei moltissimi civili coinvolti non è stato mai possibile raccogliere notizie certe.
    Fu grazie al tenente colonnello inglese Stewart Francis Alexander forte della sua esperienza sulla guerra chimica, che la verità cominciò a emergere, seppure solo nella cerchia ristretta delle gerarchie militari. Egli praticò molte autopsie e approfonditi esami sui soldati ricoverati, osservando che in molti casi l’esposizione ai gas aveva avuto un effetto importante sul funzionamento del midollo osseo. Il gas aveva infatti bloccato la replicazione di alcuni tipi di cellule che l’organismo sano produce molto rapidamente e in continuazione e che a loro volta portano alla produzione dei globuli bianchi.
    La versione ufficiale dei fatti di Bari continuò ancora per molti anni a nascondere la presenza di iprite, ma la relazione medica fu da subito chiarissima, al punto da suggerire che questo effetto delle mostarde azotate sulle cellule “a rapida replicazione” poteva risultare utile per contrastare altre cellule che si dividono in modo rapido e incontrollato: le cellule cancerose.
    Il rapporto di Stewart Francis Alexander, con quello di altri esperti britannici, finì sul tavolo del direttore del Memorial Hospital di New York, Cornelius Rhodes, all’epoca ai vertici anche del servizio sanitario militare statunitense. Lì furono studiati i campioni raccolti da Alexander grazie ai pazienti baresi: campioni che fornirono subito risultati interessanti grazie al lavoro dei due americani Louis Goodman e Alfred Gilman. Furono in seguito avviate le prime sperimentazione di un farmaco che pose le basi per una cura che oggi offre ai malati prospettive di guarigione un tempo impensabili.
    Di fondamentale importanza per capire i fatti ed i retroscena che hanno caratterizzato questa Pearl Harbour pugliese è stato il lavoro dello storico Francesco Morra che, dopo anni di ricerca negli archivi tedeschi, britannici ed americani, ha raccolto documenti ed interviste con i quali gli è stato possibile ricostruire in dettaglio gli avvenimenti di quei giorni.
    Nel 74° anniversario di uno degli eventi più drammatici della storia di Bari è stata deposta una corona d’alloro presso il monumento dedicato ai caduti di quella drammatica giornata. Nell’ambito delle manifestazioni in ricordo dei caduti, dal 30 novembre fino al 6 dicembre, si terrà una mostra per ricordare i tragici fatti presso l’Archivio di Stato del capoluogo pugliese, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 17.30.

     
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    16 GENNAIO 1547: L'ASCESA DI IVAN IL TERRIBILE.

    Ivan Vasil'evič (Ivan IV), fu il fondatore della potenza russa, ed è ricordato come uno dei sovrani più sanguinari della storia europea. Il popolo lo definì "Groznyj" "Terribile, Temibile", e con questo nome è passato alla storia: Ivan il Terribile.

    Nacque a Mosca nell’estate del 1530, figlio primogenito del principe Vassilij III. A quell'epoca tutta la regione intorno alla città era uno stato semifeudale, sottoposto alle lotte intestine della nobiltà locale che era la vera detentrice del potere. Alla morte del padre la sua famiglia si premunì di difendere il giovanissimo erede non facendosi scrupoli di eliminare qualsiasi ostacolo e avversario in ogni modo possibile non escluso l'assassinio.

    In questo clima Ivan non poteva che crescere sviluppando a sua volta un odio profondo per il prossimo che si manifestò anche nei confronti dei suoi stessi parenti che lo sottoponevano spesso a crudeli umiliazioni private. Data la giovane età fu comunque costretto ad accettare l’ingerenza governativa delle famiglie Belsky e Shuisky.

    Questo almeno fino al 16 gennaio 1547 quando, a 16 anni, assunse ufficialmente il potere col titolo di Zar (”Cesare”), che richiamava la tradizione dell'impero bizantino stabilitosi a Mosca dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453.
    Inizialmente i primi anni di regno furono caratterizzati da una politica benevola e conciliante, finalizzata a garantire la definitiva indipendenza dai vicini principati Tartari. Per questo motivo l'esercito e il sistema giudiziario vennero profondamente riformati. Militarmente si avventurò in una serie di fortunate campagne militari contro il Khanato di Kazan, conquistando tutto il bacino del Volga nel 1552.

    Ivan si assicurò anche il controllo della città di Astrakhan, proiettando il proprio potere sulle ricche regioni intorno al Mar Caspio; i principati occidentali riconobbero pubblicamente il nuovo assetto come grande potenza europea stabilendo rappresentanze commerciali a Mosca.

    Fu allora però che il sovrano diede il via ad una spirale repressiva contro la nobiltà. Numerosi esponenti della famiglia Shuisky vennero infatti assassinati e persino il clero ortodosso dovette sottomettersi alla sua volontà. Terminata questa sanguinosa rivoluzione interna, si dedicò all’ulteriore espansione dei propri territori avanzando in direzione del Mar Nero e lanciando la prima colonizzazione agricola delle fredde terre siberiane. Nel 1571 si volse poi verso Occidente, in una guerra contro Svedesi, Polacchi e Lituani destinate a durare poi per oltre 150 anni..

    Negli ultimi anni dovette subire gravi lutti pubblici e privati. La Moscovia venne infatti devastata dalla peste, e dovette anche subire ripetute invasioni da parte dell’esercito polacco-lituano di Stefan Batory; intanto, approfittando del continuo degrado mentale dello Zar, l’Oprichnina, la polizia politica, lanciò una serie di violenze in tutto il paese, culminata nel massacro delle principali famiglie nobili di Novgorod nell’inverno 1570. Alla fine, quasi sull’orlo del collasso interno, Ivan fu costretto a negoziare la pace sia con la Svezia che con la Polonia, accettando un pesante ridimensionamento delle sue originali ambizioni.

    Questi rovesci ne accelerarono il deterioramento psichico che culminò in una delle tragedie più grandi della sua tormentata vita: la morte violenta del figlio Ivan Ivanovich, da lui ucciso dopo un attacco di collera nel novembre 1581. Dopo quell'episodio il vecchio monarca si chiuse ancor di più in un cupo isolamento. Fu trovato morto nel marzo 1584, forse ucciso da cause naturali anche se all’epoca corsero voci di tirannicidio.

    A conferma di ciò negli anni Sessanta del XX secolo, le sue ossa vennero analizzate scoprendo che contenevano una quantità di mercurio tale da giustificare la tesi della morte per avvelenamento.
    Ancora oggi la figura di Ivan il Terribile è oggetto di forti controverse in Russia: alcuni lo considerano un santo benefattore della patria, vittima di circostanze particolarmente sfortunate, mentre altri lo considerano solo un tiranno.

    In immagine: Ritratto di Ivan IV di Viktor Vasnetsov, 1897 (Tretyakov Gallery, Mosca)

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    L'unico Ivan in Terribile che ricordo è questo

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    CITAZIONE (nekronomicon @ 16/1/2018, 20:44) 
    L'unico Ivan in Terribile che ricordo è questo

    SgSPEYp

    "Si chiamava Ivan il Terribile XXXII, discendente diretto di Ivan il Terribile I, appartenuto allo Zar Nicola, leggendario campione di caccia al mugico nella steppa, e fucilato come nemico del popolo durante la Rivoluzione di Ottobre sulla Piazza Rossa."
     
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    https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Isandlwana
     
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    10 febbraio;: giornata delle vittime delle Foibe



    Con la legge n.92 del 30 marzo 2004 la Repubblica Italiana ha inteso ricordare con una solennità civile, il 10 febbraio di ogni anno, le vittime delle foibe, l'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e più in generale tutta la complessa vicenda del confine orientale nazionale. La data non è casuale perchè ricorda la firma, il 10 febbraio 1947, del trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia l'Istria e la maggior parte della Venezia Giulia. Ricordiamo che le foibe sono grotte naturali tipicamente carsiche con ingresso a strapiombo (vedi immagine).

    Secondo le rilevazioni geologiche oggi disponibili, le Foibe del Carso e dell’Istria sono circa duemila, alcune delle quali molto profonde. Un numero significativo di queste voragini fu protagonista della grande tragedia sviluppatasi durante e dopo la seconda Guerra mondiale, con particolare riguardo al quadriennio compreso fra il 1943 ed il 1947.

    Le stragi cominciarono all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Mentre le truppe tedesche assumevano il controllo di Trieste, Pola e Fiume, il resto della Venezia Giulia passava nelle mani dei partigiani slavi di Josip Broz, il maresciallo Tito, che si vendicarono contro i fascisti e i loro collaborazionisti accusati di aver imposto alle popolazioni slave locali un'italianizzazione forzata. Nel mezzo furono colpiti indiscriminatamente tutti gli italiani anche per mezzo della polizia segreta, l'OZNA, in nome di una pulizia etnica che doveva annientare la presenza degli italiani da quelle province.

    I massacri non cessarono con la fine della guerra così da costringere gli italiani a fuggire dalle province istriane, dalmate e della Venezia Giulia. Al confine orientale, nelle cavità carsiche profonde anche più di cento metri, vennero gettati ancora vivi, l'uno legato all'altro col fil di ferro, uomini, donne, anziani e bambini che in quel periodo di grande confusione bellica si erano ritrovati in balìa dei partigiani jugoslavi di Tito.

    Oltre alla eliminazione fisica e all'occultamento nelle foibe del Carso, molti furono gli italiani e in genere gli oppositori di Tito ad essere internati nel lager di Borovnica, nel quale i prigionieri furono sottoposti a torture fisiche.
    Le vittime delle foibe furono alcune migliaia. Su questo i dati non sono univoci: si va da circa 5000 a 10/12 mila. Da uno studio medico-legale eseguito su un centinaio di infoibati, sotto l'egida dell'Istituto di Medicina legale e delle Assicurazioni dell'Università di Pisa, emerse che le cause più frequenti dei decessi furono:
    1. proiettili d'arma da fuoco, di solito sparati alla testa;
    2. precipitazione dall'alto con effetti di fratture multiple, commozione cerebrale, embolia;
    3. trauma da corpo contundente (bastone, calcio di fucile) od acuminato (pietra, vetro);
    4. Quando la morte non fu immediata, oltre alle cause di cui sopra alcuni decessi avvennero a distanza di qualche tempo, anche per sete o per fame.

    Il "Giorno del ricordo" come detto non è solo dedicato alle vittime delle foibe, ma anche alla grande tragedia dei profughi giuliani: 350 mila costretti all'esodo, a lasciare case e ogni bene per fuggire con ogni mezzo in Italia dove furono malamente accolti. In gran parte finirono nei campi profughi e ci rimasero per anni. Per mezzo secolo sulle stragi delle foibe e sull'esodo dei giuliani si è steso un pesante silenzio. Poi, in alcuni ambienti, si diffuse un atteggiamento quasi di giustificazione contestando al ribasso il numero delle vittime stimate e presentando gli eccidi come una reazione alle precedenti brutalità fasciste.

    Si dovrà arrivare al 1996 quando un uomo di sinistra, l'ex giudice Luciano Violante, all'epoca presidente della Camera, infranse il muro del silenzio ed invitò ad una rilettura storica degli avvenimenti. Appello ripreso sul fronte opposto dall'allora leader della destra Gianfranco Fini e poi, nel 1999, dal presidente della Repubblica Ciampi che firmò la legge con la quale il Parlamento istituiva una giornata commemorativa per le vittime dei titini, allo stesso modo delle celebrazioni per l'Olocausto degli ebrei.
     
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    Perché oggi è la Festa della mamma

    Le date variano nel mondo, e anche le origini alla base della Festa della mamma, che in Italia si festeggia la seconda domenica di maggio

    1525854946_Cersei_Lannister

    La Festa della mamma è per tradizione in Italia la seconda domenica del mese. Si celebra in tutto il mondo, e, per quanto gli italiani siano spesso tacciati di eccessivo attaccamento alla madre, hanno ereditato questa festa, ma non l’hanno creata.

    Il merito è della statunitense Anna Jarvis, che, celebrando anche l’impegno civile della madre a favore di altre donne e cogliendo precedenti suggestioni della stessa, si batté per l’istituzione di una ricorrenza destinata a questo scopo. Alla fine il Mother’s Day, partito di fatto da una celebrazione privata, divenne festa federale, grazie a una risoluzione congiunta approvata l’8 maggio 1914 dal Congresso e poi mediante proclamazione presidenziale. Gli statunitensi quindi festeggiano la seconda domenica di maggio la Festa della mamma e noi con loro, ma non per tutti è così.

    Gli inglesi, e gli irlandesi, ad esempio, festeggiano la ricorrenza tre settimane prima di Pasqua, nella quarta domenica di quaresima: per quanto ormai anche loro parlino di Mother’s Day, a loro volta avevano la tradizione, secolare, del Mothering Sunday, quel giorno in cui si, specialmente servitori e lavoratori in trasferta, tornavano alla casa materna.

    Si varia anche a seconda degli influssi culturali o religiosi legati alla festa; a Panama, ad esempio, si festeggia l’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata.

    fonte
     
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    19 GIUGNO 1918. MUORE FRANCESCO BARACCA.

    Nella sua brevissima carriera, Francesco Baracca è stato decorato di una Medaglia d'Oro, tre d'Argento ed una di Bronzo al Valor Militare per l’abbattimento di ben 34 aerei nemici. Ma soprattutto viene ancora ricordato per il suo spirito cavalleresco che lo portava a non infierire sull'avversario sconfitto. Disapprovava anche la tendenza che portava a rendere gli armamenti sempre più devastanti e spietati

    Era nato a Lugo di Romagna l’8 maggio 1888 e manifestò ben presto un’innata passione per i cavalli e per la vita militare. Dopo aver frequentato l’Accademia venne assegnato alla sua arma preferita: la Cavalleria. Un giorno assistette ad una esercitazione aerea presso l’aeroporto di Centocelle e fu amore a prima vista. Nel maggio 1912 viene inviato a Reims per conseguire il brevetto militare di pilotaggio. Per la sua spiccata propensione per il volo venne scelto per l’addestramento sul Nieuport 10 da caccia.

    Scoppiata la Grande Guerra, nell’aprile del 1916 ottenne il suo primo successo con l'abbattimento di un Brandenburg nemico e la cattura del suo equipaggio. Sarà la prima di una lunga serie di vittorie che gli valsero in breve tempo la promozione al grado di Capitano. Le sue imprese furono celebrate in tutto il mondo diventando così un vero e proprio mito.

    Nel 1917 venne costituita la 91^ Squadriglia e gli venne concesso di sceglierne personalmente gli uomini che avrebbero operato al suo comando: nacque così la leggenda degli “assi” con piloti leggendari come Fulco Ruffo di Calabria, Gaetano Aliperta, Ferruccio Ranza, Franco Lucchini, Bortolo Costantini, Guido Keller, Giovanni Sabelli ed Enrico Perreri.

    Il 19 giugno 1918 mentre infuriava l’ennesima battaglia precipitò nei pressi di Nervesa, nel settore del Montello, il suo corpo fu ritrovato alcuni giorni dopo con un foro di proiettile alla testa. Aveva da poco compiuto 30 anni. Sebbene il tenente Arnold Bawing abbia voluto attribuirsi il merito dell’abbattimento è assai probabile che invece le cose siano andate diversamente in quanto il pilota Franco Osnago che quel giorno si era alzato in volo con Baracca smentì di aver visto apparecchi nemici in volo .

    Il colpo alla tempia potrebbe quindi essere stato inferto da un abilissimo ( e fortunatissimo) cecchino o, come riportato da altre ricostruzioni, dallo stesso pilota italiano che avrebbe scelto così di suicidarsi. Il cadavere infatti venne ritrovato semi carbonizzato e l’aereo sicuramente incendiato dai colpi ricevuti.
    A sostegno di questa tesi c’è il fatto che Baracca tempo prima era rimasto molto impressionato dalla sorte di un pilota nemico che egli stesso aveva abbattuto mesi prima.

    L’aereo da lui colpito con proiettili traccianti era precipitato, si era incendiato ed il pilota fece una fine orrenda arso vivo. E’ quindi verosimile, sempre secondo questa tesi, che per non fare la stessa fine Francesco Baracca abbia deciso di abbreviare la sua agonia tant’è che la sua pistola d’ordinanza venne trovata a poca distanza e la fondina era aperta.

    Sulla morte dell’eroe italiano su sono comunque susseguite diverse ipotesi e congetture, ma una cosa sembra certa: quel 19 giugno egli era sfinito avendo volato per più di sei ore ed avendo sfiorato la morte quando una pallottola austriaca gli passò a pochi millimetri dal collo forandogli il bavero della divisa.

    Nervoso ed esacerbato per un litigio con un suo superiore, a dimostrazione che egli non si sarebbe mai tirato indietro, nonostante la stanchezza decise di decollare ancora. Per l'ultima volta. Il suo emblema – un cavallino rampante – sarebbe poi diventato quello della casa automobilistica Ferrari.

     
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55 replies since 16/4/2016, 12:58   590 views
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