Animali in pericolo di estinzione

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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    Il cammello (Camelus bactrianus) è un mammifero della famiglia dei Camelidi alto circa 2 metri, diffuso in Asia centrale e utilizzato per la carne, il grasso, il latte, la lana e come animale da trasporto. Un antenato del cammello vivente in Nordamerica era l'Aepycamelus.

    Descrizione [modifica]

    Fra gli Artiodattili è uno delle specie più grandi. Può raggiungere i 3, 4 metri di lunghezza, l'altezza alla punta della gobba raggiunge anche i 2-3 metri e pesa in media 400-500 kg. Si distingue dal suo parente più prossimo, il dromedario, per la presenza di due gobbe sul suo dorso.

    Diffusione e habitat


    Il cammello vive nelle zone desertiche e steppose della Mongolia, dell'Asia centrale e della Turchia. Il nome scientifico "Bactrianus" gli fu dato da Carlo Linneo nel 1758 perché lo riteneva originaria della Battriana, una regione fra l'Afghanistan e l'Uzbekistan. Animale forte e resistente, è in grado di trasportare carichi fino a due quintali per diversi giorni. Rispetto al dromedario ha un pelame più folto, che diventa particolarmente lungo nella zona inferiore del collo. I cammelli vivono di solito in branchi di una ventina di esemplari. La gestazione dei cammelli dura 13 mesi e partoriscono di solito un solo piccolo.

    Presenza in Italia

    Introdotto in Italia fin dall'epoca romana come animale da soma, da guerra e da circo, fu utilizzato saltuariamente fino al '700.

    Conservazione

    La specie è considerata in pericolo critico in base ai criteri della IUCN.
    La Zoological Society of London, in base a criteri di unicità evolutiva e di esiguità della popolazione, considera Camelus bactrianus una delle 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di estinzione.

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    Edited by Shagrath82 - 14/5/2010, 14:37
     
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    Il picchio dal becco avorio (Campephilus principalis principalis) è uno degli uccelli più appariscenti degli Stati Uniti: purtroppo è anche uno dei più rari e si teme addirittura che sia estinto.
    È uno dei più grossi componenti della famiglia Picidi dell'ordine Piciformi: misura 50 cm di lunghezza, ed è superato solo dall'affine picchio imperiale del Messico (Campephilus imperialis), che raggiunge i 55 cm. Il piumaggio è nero lucido, con due vistose strisce bianche su collo, dorso e ali. Il becco è bianco e a forma di scalpello, le zampe sono grige. L'alta cresta sagittale è rossa e appuntita nel maschio, e nera e leggermente ricurva nella femmina, che depone da 1 a 4 uova (normalmente 2-3) in una cavità scavata nel tronco di un albero. Il picchio dal becco avorio si nutre di insetti e larve che estrae con il lungo becco dalla corteccia e dal legno degli alberi. Gli indiani usavano il suo becco e le sue piume per decorare i loro costumi da cerimonia. Descritto per la prima volta nel 1731 da Mark Catesby come «il più grosso picchio dal becco bianco», il picchio dal becco avorio viveva originariamente nelle foreste e zone acquitrinose di tutti gli Stati Uniti sud-orientali, da Carolina del Nord a Kentucky, Illinois, Missouri, Arkansas e Oklahoma fino al golfo del Messico e alla Florida, dove se ne trovava il maggior numero. Sempre considerato raro, il picchio dal becco avorio ha subito il massimo declino dalla fine del 1800 al 1915. Nel 1941 si stimava che ne sopravvivessero solo 24 in cinque località sparse e isolate, e nel 1948 scomparve l'ultima popolazione conosciuta, in una zona di 300 km² in Louisiana, a seguito del taglio della foresta per far posto alle coltivazioni di soia. L'ultimo avvistamento provato con fotografie, in Louisiana, risale al 1972. Quelli successivi non sono confermati, anche se talvolta si è registrato su nastro il caratteristico richiamo del picchio, e le località non sono note (o vengono tenute segrete per non richiamare curiosi e collezionisti). Questi ultimi hanno avuto la loro parte nella eliminazione della specie da molte località negli ultimi anni del XIX secolo. Il picchio dal becco avorio è protetto dalla legge federale e dalle leggi degli stati in cui vive (o viveva).
    Il picchio dal becco avorio di Cuba (Campephilus principalis bairdii) è una sottospecie del picchio nordamericano. Abitava originariamente le foreste di pini e altre essenze su gran parte di Cuba, ma, scacciato da queste a seguito del taglio degli alberi per far posto alle coltivazioni di canna da zucchero, dal 1900 esiste solo nella provincia d'Oriente dell'isola. Per quanto si sa, oggi sopravvive ancora solo nella riserva Cupeyal. Sembra che non ve ne siano più di 8 coppie, forse solo 6. Il taglio degli alberi non è più permesso nelle riserve di Cupeyal e Jaguani, istituite dal 1963. Ambedue le sottospecie di picchio dal becco avorio sono classificate «in pericolo di estinzione» nel Red Data Book dell'IUCN. Non sono protette dalla CITES in quanto la loro sopravvivenza è incerta e il commercio inesistente.
    Specie affine è il picchio imperiale che viveva nelle foreste di conifere e querce della Sierra Madre Occidentale negli stati messicani di Sonora, Chihuahua, Durango, Zacatecas, Jalisco e Michoacan, a oltre 2000 metri di quota nella parte nord e a oltre 2500 nella parte sud. Mai abbondante in alcuna località, scacciato dal taglio delle foreste e sterminato dalla caccia, non si sa se esiste ancora in qualche parte del suo areale originario. Si ritiene che sopravviva in zone remote di Zacatecas e Durango, e forse Chihuahua. L'ultimo avvistamento comprovato risale al 1958, e gli altri avvistamenti (1977) mancano di prove concrete. Se c'è una popolazione, certamente è piccolissima. Un'apposita spedizione organizzata dalla National Audubon Society e composta da G. Plimpton, V. Emanuel e J. Rowlett, nel 1975-76 ha inutilmente cercato di rintracciare questa specie nel suo areale. La specie è protetta dalla legge messicana (difficile da far rispettare), ed è classificata «in pericolo» nel Red Data Book dell'IUCN.

    Stato di conservazione


    Il picchio becco d'avorio (Campephilus principalis) ha fatto la sua ricomparsa dopo che era stato dato "per disperso" dagli esperti che per sessant'anni l'avevano perso di vista. Grazie a un video che ne testimonia la presenza nel bel mezzo del National Wildelife Refuge, oasi dell'Arkansas (Stati Uniti), si è potuto verificare che questo picchio, uno dei più grandi al mondo, svolazza libero e probabilmente ha già nidificato. Il filmato risale all'11 febbraio 2004: tra i rami, sotto gli occhi increduli di un birdwatcher, compare il grosso uccello con la tipica cresta rossa e gli studiosi esultano. L'avevano già soprannominato Sacro Graal per le difficoltà (che credevano insormontabili) a rintracciarlo. Ora è tornato e il governo ha stanziato 20 milioni di dollari per la sua tutela.

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    Edited by Shagrath82 - 14/5/2010, 14:39
     
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    Lo sciacallo egiziano (Canis aureus lupaster), noto anche come lupo egiziano o dib, come lo chiamano i locali, è una sottospecie criticamente minacciata, notturna e dalla tassonomia altalenante di sciacallo dorato che vive solamente in Egitto settentrionale e in Libia nordorientale. Questa sottospecie è stata spesso scambiata per un lupo grigio. Un tempo era molto diffuso in tutto l'Egitto e nella penisola arabica, ma la caccia ha ridotto drasticamente il suo numero.

    Caratteristiche

    Solitamente presenta un manto grigio-beige molto sfumato o giallo sporco ed una corporatura molto esile. Si incontra molto raramente solo in aree localizzate. Pesa 10-15 kg. I naturalisti del passato, confusi dall'aspetto simile a quello del lupo arabo, ritennero che fosse imparentato con esso. Attualmente non esistono alcune leggi protettive riguardante questo animale e le ultime stime dicono che rimangano ancora solamente 30-50 sciacalli egiziani. È stato scritto che talvolta, in Egitto, la morfologia di questo animale variava molto.

    Il parente più stretto dello sciacallo egiziano è lo sciacallo dorato siriano, sottospecie suriacus.

    Mitologia

    Lo sciacallo dorato egiziano si tratta, forse, dell'animale che nella mitologia egiziana ha dato gli attributi al dio Anubi. Anubi veniva rappresentato come un uomo con la testa di uno sciacallo dorato. Il dio-sciacallo era una delle divinità più importanti. Lo sciacallo dorato egiziano di Anubi era di colore nero, con lunghe orecchie e muso appuntito.
    L'animale Anubi si aggirava nei pressi delle piramidi e faceva loro la guardia. Alcuni hanno raccontato che lo sciacallo egiziano viveva in gruppi numerosi e si nutriva delle carogne nelle vicinanze degli insediamenti umani.


    Ricerche e studi genetici


    C. a. lupaster sembra essere la sottospecie di C. aureus di maggiori dimensioni (Ferguson, 1981). Lo sciacallo egiziano venne originariamente descritto come C. lupaster ed è più grosso, più pesante ed ha zampe più lunghe del C. aureus comune (Ferguson, 1981). Basandosi sulla forma del cranio, della mandibola e dei denti, Ferguson sostenne che questo taxon doveva essere considerato come una piccola specie di lupo del deserto. Ciò è alla base dell'errata classificazione dello sciacallo egiziano come una forma di lupo.
    Soprattutto le caratteristiche del cranio e dei denti ne confermano l'appartenenza allo sciacallo dorato, nonostante la mandibola allungata e dal fondo piatto.
    Una divergenza nella sequenza del 4,8% tra gli sciacalli egiziani e israeliani suggerisce che la designazione Canis aureus lupaster per gli sciacalli egiziani non è molto equilibrata. Inoltre, è stata riscontrata una certa ibridizzazione nelle popolazioni egiziane, la quale indica degli eventi di introgressione con altri sciacalli e cani inselvatichiti, o tra sciacalli e lupi grigi.
    In uno studio è stata investigata la struttura genetica delle popolazioni di sciacallo dorato egiziano, la quale è stata confrontata con quella degli esemplari che vivono in Israele e con quella dei lupi dell'Arabia Saudita e dell'Oman. Le analisi tramite l'uso del citocromo b nell'mtDNA confermano che nelle popolazioni di sciacallo egiziano e di Israele non vi è alcuna variabilità genetica, ma solo dei differenti aplotipi, che indicano forse due indipendenti eventi di evoluzione a collo di bottiglia (Masters Courses in Biodiversity & Conservation, progetti egiziani).
    Il lupo egiziano (Wilson & Reeder, 2005), sulla base delle ricerche del DNA, viene ora classificato come una sottospecie di sciacallo dorato e non di lupo grigio. Lo sbaglio era stato causato dal caratteristico profilo da lupo grigio, con zampe lunghe ed orecchie più grandi di quelle degli altri sciacalli

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    Edited by Shagrath82 - 14/5/2010, 14:41
     
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  4. Thais
     
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    ma è bellissimo :amore:
     
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  5. Lupo Selvaggio
     
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    :amore:
     
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    Il lupo himalayano, ritenuto originariamente una forma di lupo tibetano, potrebbe trattarsi di una distinta specie di canide, Canis himalayensis. È originario di una piccola zona dell'India settentrionale (Jammu e Kashmir ed Himachal Pradesh) e del Nepal orientale, sui monti dell'Himalaya. Le ricerche sul DNA hanno suggerito che questo lupo potrebbe rappresentare (insieme al lupo indiano) un'antica linea di lupi rimasti isolati in India. Il lupo himalayano ha una popolazione di soli 350 esemplari, ma se ne trovano anche altri 21 in zoo dell'India e del Bangladesh

    Storia

    In passato, gli scienziati avevano riconosciuto 32 differenti sottospecie di lupo grigio. Le differenze tra le varie sottospecie si basavano principalmente su aspetti morfologici. Il lupo himalayano si riteneva solitamente appartenente alla sottospecie Canis lupus chanco. Questa sottospecie occupava l'area del Kashmir e si spingeva fino alle regioni orientali della Cina e della Mongolia. Fino ad ora il lupo himalayano non era mai stato studiato geneticamente. Nuove prove basate sul DNA mitocondriale mostrano che il lupo himalayano si tratta di una nuova sottospecie o perfino di una specie vera e propria. Si sostiene che il lupo himalayano si sia separato dal lupo grigio circa 800.000 anni fa. Di conseguenza, potrebbe trattarsi di una differente specie a tutti gli effetti. Se questo fosse vero, potrebbero sorgere nuove domande sul perché questa specie non fosse stata in grado di diffondersi sul globo alla stessa maniera del suo parente, il lupo grigio.

    Habitat

    L'habitat del lupo himalayano (noto anche come lupo tibetano) è confinato ad aree ristrette dell'India e del Kashmir, ma si spinge anche fino alla Cina ed alla Mongolia. Si ritiene che quando questa specie si evolse, rimase circondata da ghiacciai e da altre barriere fisiche che non le permisero di espandersi e di perpetuarsi altrove. Gran parte del suo habitat viene condivisa con un'altra specie scoperta recentemente, il lupo indiano. Non sappiamo come abbiano fatto queste due specie a non incrociarsi tra loro nelle zone dove coabitano. Questo fatto ha permesso alle due specie di rimanere distinte geneticamente da tutti gli altri lupi e cani che si trovano sul pianeta.


    Evoluzione


    Fino a tempi recenti si credeva che tutti i lupi e i cani facessero parte dello stesso clade lupo-cane, il che significa che tutti i cani domestici discendono dai lupi. Quando venne studiato il lignaggio himalayano, si scoprì che quei lupi non mostravano alcuna affinità genetica con i lupi grigi o i cani. Questo indica che il lupo himalayano non ha giocato alcun ruolo nell'addomesticamento dei cani. Ai tempi della separazione del lupo himalayano, 800.000 anni fa, l'habitat del Nepal dei giorni nostri stava attraversando un periodo di turbolenze geologiche e climatiche. La regione himalayana, dimora anche del lupo indiano e del lupo grigio, è la sola area geografica dell'intero pianeta dove coesistono tre specie distinte di lupi, il che supporta la teoria che ritiene che l'evoluzione del lupo moderno sia avvenuta nella regione indiana.

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    Edited by Shagrath82 - 14/5/2010, 14:42
     
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    Il lupo messicano (Canis lupus baileyi) è la sottospecie più rara e più geneticamente distinta di lupo grigio in Nordamerica. È anche una delle sottospecie più piccole, raggiungendo una lunghezza massima non superiore ai 135 cm e un'altezza massima di circa 80 cm. Il peso varia dai 27 ai 45 kg.

    Storia

    Fino a tempi recenti, il lupo messicano era diffuso nei deserti di Sonora e di Chihuahua dal Messico centrale fino al Texas occidentale, al New Mexico meridionale e all'Arizona centrale. Dagli inizi del XX secolo, la riduzione delle prede naturali come i cervi e i wapiti portò molti lupi ad attaccare il bestiame domestico, provocando gli sforzi intensivi delle agenzie governative e individuali per sradicare il lupo messicano. Anche i cacciatori perseguitarono il lupo, poiché uccideva i cervi. Anche i trapper, governativi e privati, hanno dato una mano nella sradicazione del lupo messicano (bisogna notare che studi recenti compiuti da esperti di genetica hanno mostrato che l'areale dei lupi messicani si spingeva più a nord, fino al Colorado).
    Questi sforzi ebbero molto successo e dagli anni cinquanta il lupo messicano in natura è stato eliminato. Nel 1976 il lupo messicano venne dichiarato una specie minacciata e da allora lo è sempre rimasto. Oggi sopravvivono in natura solamente 15 lupi messicani o pochi di più.

    Reintroduzione nel Sudovest

    Nel marzo 1998 l'U.S. Secretary of U.S. Fish and Wildlife Service iniziò la reintroduzione dei lupi messicani nell'area di Blue Range, in Arizona. L'obiettivo principale di questo programma era di reintrodurre a partire dal 2005 100 lupi messicani nelle Foreste Nazionali di Apache-Sitgreaves e di Gila, in Arizona e in New Mexico.
    Il 30 marzo 1998 i biologi del governo liberarono 11 lupi grigi - 3 maschi adulti, 3 femmine adulte e 3 lupacchiotte e 2 lupacchiotti di un anno di vita - all'interno dei recinti di acclimazione dell'area di 18.000 km² designata federalmente Blue Range Wolf Recovery Area, nell'Arizona centrorientale.


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    Edited by Shagrath82 - 14/5/2010, 14:44
     
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    Il lupo rosso (Canis rufus) rappresenta la varietà di lupo più rara e minacciata. Si ritiene che in origine fosse diffuso in gran parte della porzione orientale del Nordamerica, dalla Pennsylvania al Texas. Nell'ultimo secolo, tuttavia, la caccia, la distruzione dell'habitat e l'ibridazione con il coyote hanno portato la specie sull'orlo dell'estinzione. Attualmente rimangono solo 270 esemplari, 170 dei quali in cattività e 100 reintrodotti nella Carolina del Nord.
    In passato erano diffuse tre sottospecie del lupo rosso, due delle quali sono estinte. Il Canis rufus floridanus si è estinto nel 1917, mentre il Canis rufus rufus è stato dichiarato estinto in natura nel 1970. Il Canis rufus gregoryi, allo stato selvatico si è estinta nel 1980.
    La classificazione tassonomica del lupo rosso è stata a lungo dibattuta: tradizionalmente, è sempre stato considerato una specie a sé stante. Altri ritengono che il lupo rosso sia semplicemente frutto dell'incrocio fra il lupo grigio e il coyote. Stando a quest'ultima interpretazione, il lupo rosso comparve quando la distruzione dell'habitat da parte dell'uomo portò i lupi grigi a vivere a stretto contatto con i coyote e ad incrociarsi con essi.
    Studi più approfonditi hanno portato a prove morfologiche, comportamentali e genetiche che dimostrano l'esistenza di una popolazione di lupi rossi da circa mezzo milione di anni. Tuttavia, la situazione non è ancora molto chiara. Pare comunque certo che nel corso del tempo vi siano stati numerosi incroci fra lupi (grigi e rossi) e coyote e che negli anni recenti i lupi rossi siano scomparsi allo stato selvatico e rimpiazzati da coyote puri o meticciati.
    Nel 1999, Brad White della McMaster University e Paul Wilson della Trent University hanno provato che i lupi del Canada sudorientale (precedentemente ritenuti lupi grigi) erano in realtà lupi rossi, facendo ricorso sia a prove fossili che morfologiche. Il «lupo rosso del Canada orientale», come è stato chiamato, è diffuso dal Minnesota al Quebec.

    Una recente teoria suggerisce che i lupi (rossi e grigi) e i coyote discendano tutti dalla stessa popolazione di lupi presente nel Nordamerica uno o due milioni di anni fa. Secondo tale teoria, gli antenati del lupo grigio migrarono in Europa e Asia originando il lupo grigio come lo conosciamo oggi, per poi ritornare in America circa 300.000 anni fa. Nello stesso periodo si formarono le altre due specie, il coyote e il lupo rosso, che cominciarono a differenziarsi. Il moderno lupo rosso del Canada orientale, dunque, sarebbe il risultato di molteplici incroci fra lupi grigi puri, lupi rossi puri, ibridi coyote-lupo rosso e lupo rosso-lupo grigio (secondo questa teoria, infatti, il lupo grigio e il coyote non si incrociano direttamente).
    Il risultato del dibattito tassonomico non è semplicemente una questione di classificazione accurata: anche se gli attuali percorsi di classificazione sono complessi e insidiosi, gli schemi di classificazione umani si basano tipicamente su divisioni relativamente semplici e nette, come il concetto di specie, che mal si adatta a descrivere i lupi del Nord America. Rimane comunque un concetto cruciale, quante decisioni di politica ambientale ruotano attorno al concetto di specie. In base alla legislazione, una «specie» distinta è meglio protetta di una «semplice sottospecie».

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    Edited by Shagrath82 - 3/6/2010, 21:45
     
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    Brava Giovanna... brava.

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    bellissimi i lupi!
     
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    Il lupo etiope (Canis simensis) è un piccolo lupo rossastro simile alla volpe. È uno tra i più rari e minacciati di tutti i canidi. È noto anche come lupo abissino, sciacallo rosso, e volpe (o sciacallo) del Simien; in amarico viene chiamato täkʷula («lupo») o qey qebero («volpe rossa») e in oromo jedalafardaa («sciacallo dei cavalli»). I nomi numerosi riflettono le antiche incertezze riguardo alla sua posizione tassonomica, sebbene si ritenga attualmente che sia imparentato con i lupi del genere Canis piuttosto che con le volpi a cui somiglia nell'aspetto. Le recenti analisi molecolari sembrano perfino indicare che il lupo etiope sia un discendente del lupo grigio. Ciò significa che il lupo etiope sia l'unico lupo vero e proprio dell'Africa sub-sahariana.
    Vive nelle regioni afro-alpine dell'Etiopia, ad un'altezza di circa 3000 metri sul livello del mare. Ne rimangono solamente sette popolazioni, per un totale approssimativo di 550 adulti. La popolazione più numerosa si trova sulle montagne di Bale, in Etiopia meridionale, sebbene vi siano inoltre popolazioni più piccole sui monti Simien, nel nord del Paese, ed in poche altre aree.
    Si nutrono di roditori afro-alpini, soprattutto di ratti talpa africani e di ratti dell'erba abissini (uno studio ha riscontrato che il 96% delle loro prede siano roditori). Possono inoltre catturare anche piccole antilopi, come le redunche ed i piccoli di antilopi più grandi (come il nyala di montagna), così come lepri ed iraci. I lupi etiopi sono diurni.
    Quando si nutrono di roditori, i lupi etiopi tendono a cacciare da soli, ma sono canidi territoriali e sociali che formano branchi e difendono i loro territori. Il branco, che può comprendere fino ad una dozzina di esemplari con un rapporto tra i sessi di alcuni maschi per femmina, pattuglia e difende il territorio.
    Le genti oromo dell'Etiopia meridionale chiamano il lupo etiope «sciacallo dei cavalli» a causa della sua abitudine riportata di seguire le giumente e le vacche che stanno per partorire allo scopo di nutrirsi della placenta.
    Claudio Sillero-Zubiri dell'università di Oxford è lo zoologo che ha lavorato di più allo scopo di salvare questa specie di lupo, soprattutto grazie ad i suoi lavori per sviluppare un vaccino orale contro la rabbia per proteggerla da questa malattia trasmessale dai cani locali. Il suo lavoro è supportato dalla Born Free Foundation. Un'epidemia di rabbia scoppiata nel 1990 ridusse la popolazione nota più numerosa, quella del parco nazionale delle montagne di Bale, da circa 440 lupi a meno di 160 in sole due settimane.

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    Edited by Shagrath82 - 26/6/2010, 10:55
     
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    Il markhor (Capra falconeri) detto anche capra di Falconer, è una specie di caprino diffusa in Asia centrale: La sua caratteristica più appariscente consiste nelle sue corna lunghe, fittamente spiralate che possono superare di molto il metro di lunghezza. I maschi possono pesare anche 110 kg ed essere più alti di un metro al garrese. Presentano una lunga barba fluente, una criniera dorsale e lunghi ciuffi di peli sui quarti anteriori e sulle cosce. Le femmine sono in genere molto più piccole e raggiungono raramente la metà del peso dei maschi.
    Il markhor vive in Pakistan settentrionale, in Afghanistan, nel Kashmir, nel Ladakh (India) e sui rilievi montuosi del Tagikistan e dell'Uzbekistan che confinano con queste regioni. Frequentano i pendii montuosi ad altitudini variabili fra i 600 e i 3500 m dove non rischiano di trovarsi in competizione con gli stambecchi che vivono a quote più elevate. Purtroppo le sue corna sono di gran valore: la caccia e la perdita dell'habitat (per il diboscamento e la creazione di pascoli per gli animali di allevamento) hanno reso il markhor una delle specie di caprini più rare, con popolazioni in grave pericolo e alcune già estinte.
    Il markhor si nutre di una gran quantità di piante verdi e di arbusti; quando il cibo è scarso si arrampica anche sugli alberi alti per brucare le foglie. Durante l'estate questo animale deve ripararsi dal sole nelle ore più calde; le dure condizioni invernali, d'altro lato, lo costringono a scendere a valle esponendolo ai fucili degli abitanti dei villaggi alpini.
    La stagione degli amori cade fra dicembre e gennaio; sembra che i maschi adulti non siano territoriali e si accontentino semplicemente di unirsi ai gruppi di femmine. Quando fanno parte di uno di questi gruppi, però, cercano di tenere lontani tutti gli altri maschi che si avvicinano. L'atteggiamento di minaccia più comune è un rapido movimento delle corna verso l'alto; il maschio che vuole assumere una posizione più minacciosa dirige invece le sue corna verso l'avversario e lo carica. Durante i combattimenti veri e propri, i markhor si ergono sulle zampe posteriori e cozzano fra loro con la testa.
    Quando la femmina va in estro, il maschio le resta vicino fino al momento dell'accoppiamento. Si mette dietro di lei con i lmuso proteso e la coda alzata, oppure di fianco volgendo il muso in alto e da un lato. Se la femmina si sposta, il maschio di solito la segue allungando il muso ed estroflettendo la lingua; a volte le dà addirittura dei piccoli colpi con la zampa anteriore.
    Sei mesi dopo l'accoppiamento la femmina si allontana dal gruppo per partorire isolata.
    Il tasso riproduttivo del markhor è decisamente alto e i parti gemellari sono numerosi, soprattutto fra le femmine che hanno superato gli 8 anni di età. Poiché questo animale sopravvive oggi solo in piccole popolazioni isolate, è soggetto al pericolo dell'accoppiamento fra consanguinei; le caratteristiche sfavorevoli possono quindi diffondersi nella popolazione aumentando i rischi della trasmissione di malattie ereditarie.


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    Edited by Shagrath82 - 26/6/2010, 10:55
     
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    Lo stambecco, o stambecco delle Alpi (Capra ibex, Linnaeus 1758), è un mammifero dell'ordine degli Artiodattili, della famiglia dei Bovidi e della sottofamiglia dei Caprini. Si incontra prevalentemente lungo l' Arco alpino.

    Storia

    100.000 anni fa, lo stambecco viveva in tutte le regioni rocciose dell'Europa centrale. È stato anche fonte d'ispirazione per le genti del Neolitico che lo disegnavano nelle grotte in cui vivevano, come appare infatti nelle pitture murali della grotta di Lascaux in Francia.
    Fino al XV secolo, era presente lungo tutto l'Arco alpino, ma lo sviluppo delle armi da fuoco segnò ben presto la sua fine in quei territori. La medicina dell'epoca poi, tutta centrata sulla superstizione, gli fu fatale. Le corna, ridotte in polvere, furono utilizzate come rimedio contro l'impotenza ed il suo sangue come rimedio per i calcoli renali. Lo stomaco infine fu indicato per combattere la depressione. Queste credenze persistettero fino al XIX secolo, ma ormai se ne contavano solo qualche centinaio d'individui nelle Alpi italiane e francesi, mentre era completamente scomparso in Svizzera.
    La specie deve la sua soppravivenza alla famiglia reale italiana. Fu infatti il re Vittorio Emanuele II che fece proteggere, nel 1856, gli ultimi esemplari, per riservarli alla sua caccia personale in una riserva privata, vicino a Valsavaranche, dove, per suo ordine, un gruppo di guardia-caccia li proteggeva da altri cacciatori.

    Anatomia e morfologia

    Si tratta di un bovide di rilevanti dimensioni, il maschio dello Stambecco è caratterizzato da lunghe corna arcuate. La femmina, più piccola, è anch'essa dotata di corna, che raggiungono al massimo i 30-35 cm. Il maschio raggiunge i 14-16 anni mentre la femmina può anche superare i 20 anni.

    Il manto peloso


    l colore del mantello dello stambecco cambia con il variare delle stagioni. Nel periodo estivo il pelo è corto, di colore beige o bruno chiaro. In autunno cade lentamente ed è sostituito da una spessa pelliccia con peli più lunghi di un colore bruno scuro, quasi nero: questa calda pelliccia lo proteggerà dal freddo della montagna ed il colore più scuro assorbirà meglio i raggi del sole. Una muta si renderà poi necessaria alla fine dell'inverno, nei mesi di maggio e giugno. Gli stambecchi si sbarazzeranno della pelliccia grattandosi contro le rocce e contro i tronchi degli alberi e non è raro, in questo periodo, trovare dei ciuffi di pelo intrecciati sugli arbusti e sulle rocce. La muta è anche all'origine del fastidioso prurito che gli stambecchi maschi cercano di alleviare aiutandosi con le loro lunghe corna. Il pelo estivo dei becchi è di un colore grigio ferro su tutto il dorso, fino al ventre che invece è di colore bianco. Le zampe sono di un colore bruno scuro, quasi nerastro come anche la banda mediana sul dorso è di un colore scuro, molto vicino al nero, (questa banda nera talvolta non è presente). Dal mese di novembre in poi, il pelo dei maschi si scurisce e diventa marrone scuro.
    Il pelo delle femmine è di un beige giallastro o castano chiaro, salvo il ventre che rimane piuttosto biancastro e le zampe che sono bruno scuro. Esso si scurisce leggermente in inverno, ma comunque, sia in estate che in inverno, il mantello della femmina è più chiaro di quello del maschio.
    Alla nascita, il pelo dei piccoli stambecchi è invece di un colore beige rossastro, più chiaro di quello delle femmine: resterà tale fino all'età di due anni.

    Corna


    Le corna, permanenti, sono costituite da un'impalcatura ossea ricoperta di sostanza cornea. La loro crescita si blocca ogni anno in novembre e tale arresto si evidenzia come un anello ben visibile sulla parte laterale e posteriore del corno. Dal conteggio di tali cerchi si risale al numero di inverni trascorsi e quindi all'età dell'animale. Nei maschi le corna presentano sul lato anteriore nodi vistosi, formati da escrescenze cornee, e possono superare, nei soggetti più vecchi, il metro di lunghezza. Al contrario le femmine hanno corna lisce, di 35 cm al massimo; dopo i 5 anni l'accrescimento annuale del corno diventa di pochi millimetri ravvicinando di molto gli anelli.

    Alimentazione

    Erbivoro, può mangiare fino a 20 Kg di erba, ma si ciba anche dei germogli di ginepro, di rododendri, di muschi e di licheni, pur non essendo facili da digerire. Non è raro incontrare in montagna, ai lati delle strade, dei piccoli blocchi di sale destinati ai gruppi di stambecchi perché, come altre specie del genere Capra, è ghiotto di sale in quanto il suo organismo accusa un'effettiva esigenza di sodio, solitamente poco disponibile nei foraggi. Si abbevera poco, accontentandosi spesso della rugiada mattutina. In primavera si nutre di arbusti dei quali apprezzano soprattutto i germogli, e che brucano drizzandosi sulle zampe posteriori. In inverno le erbe secche sono la base dell'alimentazione ma compaiono anche arbusti (ontano verde) e licheni, raramente aghi di conifere.

    Riproduzione


    Gli accoppiamenti avvengono durante i mesi di dicembre e di gennaio. I maschi adulti dominanti ricercano attivamente le femmine in calore, mostrando caratteristici atteggiamenti di sottomissione: corna rovesciate sulla schiena, collo teso, coda alzata a pennacchio a scoprire lo specchio anale bianco.
    Gli scontri tra maschi, peraltro assai spettacolari, sono limitati e sanciscono la supremazia dei singoli individui.
    Dopo una gestazione di circa 160-180 giorni nasce un solo piccolo, raramente due. Il neonato sta in piedi dopo pochi minuti ed è subito in grado di seguire la madre sulle pareti a strapiombo.

    Comportamento

    Lo Stambecco è un animale gregario; i branchi di maschi restano separati da quelli delle femmine e si riuniscono ad essi solo nel periodo riproduttivo. I gruppi di maschi comprendono soggetti di età superiore ai 4-5 anni e possono, in primavera, raggiungere le 100 unità. I soggetti più vecchi tendono ad una vita solitaria o sono aggregati in piccoli gruppi (4-6 elementi), comprendenti anche animali giovani. Vi sono infine i branchi di femmine con i piccoli e i giovani fino a due anni. Durante l'estate si possono osservare le "nurseries", ovvero gruppi di capretti (fino a 15-20) controllati da una o due femmine mentre le altre madri sono alla ricerca di cibo.

    Ecologia

    E’ un animale particolarmente adattato agli ambienti caratterizzati da affioramenti rocciosi misti a prateria, situati sino al limite dei ghiacciai. In inverno sono preferite le pareti con buona esposizione, a quote comprese tra i 2000 ed i 3500 m; il bosco fitto viene evitato. I maschi possono utilizzare il bosco rado, costituito perlopiù da larice ed interrotto da pareti rocciose, per scendere poi in primavera sul fondovalle, al momento del ricaccio dell'erba. Le femmine rimangono invece per buona parte dell'anno sui pendii rocciosi. Lo stambecco è un animale essenzialmente diurno ed è attivo già prima del sorgere del sole. Dalle prime ore del giorno fino all'imbrunire, trascorre le sue giornate sulle terrazze erbose e ben esposte al sole.

    Curiosità


    * La Valle d'Aosta è l'unica regione dell'arco alpino in cui la specie non sia stata eliminata in tempi storici.
    * Dal Medioevo in poi le popolazioni di Stambecco sono state decimate soprattutto a causa della caccia fomentata dalle credenze popolari. Molte parti dell'animale venivano infatti impiegate nella medicina popolare mentre altre erano usate addirittura come talismani.


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    Edited by Shagrath82 - 26/6/2010, 10:57
     
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    Lo stambecco del Simien (Capra walie) è un bovide presente solo in Etiopia, sui monti Simien. Ne sopravvivono oggi solo circa 500 esemplari. Alcuni studiosi lo classificano come sottospecie dello stambecco (Capra ibex).

    Caratteristiche

    Lo stambecco del Simien ha manto scuro (con arti anteriori chiazzati di bianco e di nero, e con parti inferiori più chiare) e grandi corna ricurve segnate sul davanti da nodosità vistose e regolari.

    Conservazione


    Lo stambecco del Simien è uno dei mammiferi più minacciati del mondo. Il suo areale è ristretto infatti alle parti più impervie del Simien, soprattutto lungo le scarpate nord-occidentali ad altezze superiori ai 3000 metri e per una fascia poco più lunga di 30 chilometri in tutto. Il totale della popolazione veniva valutato nel 1968 in non più di 150 individui, una situazione davvero allarmante che a seguito dei primi rapporti di vari naturalisti (principalmente J. Blower, L. Brown, J. Müller, F. Vollmar e soprattutto B. Nievergelt) stimolò l'UNESCO, l'IUCN e il WWF a progettare il Parco Nazionale del Simien e a premere sul governo etiopico perché lo istituisse al più presto.

    Primi sforzi di protezione


    La creazione del parco e gli sforzi delle organizzazioni internazionali per la conservazione della natura (che sostennero anche finanziariamente il peso della guardia e delle prime strutture gestionali) sembrarono dare dei buoni risultati. Come già in più occasioni lo stambecco delle Alpi, anche quello del Simien sembrò reagire bene ai provvedimenti di protezione. Nel 1974, secondo Leslie Brown, la popolazione era salita ad almeno 300 capi, con un'alta proporzione di giovani nati, ed un'analoga valutazione veniva fatta anche nel 1977, con circa 240 capi all'interno del parco e forse un'altra sessantina al di fuori dei suoi confini.

    Attuali minacce


    Mancano stime recenti e precise dello stato di conservazione dell'animale. Le successive vicende politiche dell'Etiopia hanno interrotto il flusso di informazioni, e compromesso la stessa operatività del parco. In queste condizioni tutti i vecchi fattori che già avevano spinto lo stambecco quasi sull'orlo dell'estinzione definitiva possono aver ripreso a imperversare, e il livello della popolazione potrebbe esser tornato a scemare. Il bracconaggio, che nel 1975 era relativamente sotto controllo, potrebbe essere ripreso per via della debolezza dell'apparato di tutela, anche per via dell'estrema povertà delle popolazioni della zona.
    Il problema più rilevante è comunque probabilmente quello rappresentato dalla distruzione dell'habitat causata dall'agricoltura, che avanza disboscando le aree coperte da vegetazione naturale e appiccando incendi. Nella sola zona di Sederek Chenek, ad esempio, almeno un quarto dell'habitat naturale dello stambecco scomparve in tre anni, circa tre decenni fa, a causa dei tagli e del fuoco. All'interno del parco vivono oltre 3000 persone con le loro greggi, e un pericolo per la specie può venire anche da possibili ibridazioni tra lo stambecco e le capre domestiche. L'invadenza di queste e l'estendersi delle coltivazioni cominciano ad erodere anche le medie terrazze, e gli stambecchi sono ormai sospinti quasi esclusivamente alle quote superiori, dove il pascolo è però più magro e la copertura arborea assai minore.

    Biologia e comportamento

    Il ciclo riproduttivo e il comportamento sociale dello stambecco del Simien sono stati studiati in dettaglio soprattutto dallo zoologo svizzero Bernard Nievergelt. Nel clima afroalpino proprio di questa specie, l'habitat preferenziale sembra situarsi al di sotto della linea della vegetazione arborea (mentre lo stambecco delle Alpi vive di solito al di sopra di questa), e inoltre il comportamento riproduttivo si snoda durante tutto il corso dell'anno, senza un unico e limitato periodo degli amori come per la specie alpina, ma con un significativo picco, tuttavia, nella stagione che va da marzo a maggio. La conseguenza è che giovani nati possono essere osservati quasi in ogni periodo dell'anno, anche qui tuttavia con un picco di nascite attorno a settembre-ottobre.
    In effetti nei monti del Simien la temperatura si mantiene più o meno stabile durante tutto l'anno, con variazioni giornaliere (tra il giorno e la notte) assai più evidenti di quelle stagionali. Le stagioni dipendono in sostanza solo dall'ammontare delle precipitazioni, e la stagione delle piogge (spesso chiamata "inverno" in Etiopia) dura da giugno ad agosto. La seguono prati verdeggianti e intense fioriture, che danno l'impressione come di una nostra primavera. Un'interessante differenza, messa in evidenza da Nievergelt, rispetto allo stambecco alpino, sta nel fatto che anche nel periodo del parto il numero di femmine isolate è minimo (mentre è consueto nella maggior parte degli ungulati che le femmine si isolino in questo periodo e restino sole per un po').

    Curiosità

    In un episodio della serie naturalistica della BBC "Planet Earth", un gruppo di questi animali viene inquadrato mentre bruca insieme ad un branco Ǿdi gelada (Theropithecus gelada). Infatti, questi primati e gli stambecchi vivono in perfetta simbiosi. Mentre tutti pascolano, un membro di uno dei due gruppi rimane di vedetta, avvertendo poi tutti gli animali che pascolano del pericolo imminente. Entrambe le specie sono infatti prede del lupo abissino (Canis simensis).


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    Edited by Shagrath82 - 26/6/2010, 10:58
     
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    Il caracal del Turkmenistan (Caracal caracal michaelis) è una sottospecie minacciata del Caracal. Si può reperire in Kazakistan, Turkmenistan, in Tagikistan, in Uzbekistan, in Kirghizistan ed in Cina dell'ovest. Si nutrono di carni decomposte di animali periti, ma cacciano anche cinghili e lepri. In Turkmenistan stanno declinando a causa della persecuzione e della devastazione generale dell'habitat in quel paese soprattutto per colpa del prosciugamento del lago Aral. Oggi le autorità tentano di salvare la specie ed il loro habitat.

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    Edited by Shagrath82 - 26/6/2010, 11:00
     
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    La tartaruga comune (Caretta caretta, Linneo 1758) è la tartaruga marina più comune del Mar Mediterraneo. La specie è fortemente minacciata in tutto il bacino del Mediterraneo e ormai al limite dell’estinzione nelle acque territoriali italiane.

    Morfologia

    Sono animali perfettamente adattati alla vita acquatica grazie alla forma allungata del corpo ricoperto da un robusto guscio ed alla presenza di “zampe” trasformate in pinne.
    Alla nascita è lunga circa 5 cm. La lunghezza di un esemplare adulto è di 80 - 140 cm, con un peso variabile tra i 100 ed i 160 kg.
    La testa è grande, con il rostro molto incurvato. Gli arti sono molto sviluppati, specie gli anteriori, e muniti di due unghie negli individui giovani che si riducono ad una negli adulti.
    Ha un carapace di colore rosso marrone, striato di scuro nei giovani esemplari, e un piastrone giallastro,a forma di cuore, spesso con larghe macchie arancioni, dotato di due placche prefrontali ed un becco corneo molto robusto.
    Lo scudo dorsale del carapace è dotato di cinque coppie di scudi costali; lo scudo frontale singolo porta cinque placche. Ponte laterale fra carapace e piastrone con tre (di rado 4-7) scudi inframarginali a contatto sia con gli scudi marginali che con quelli del piastrone. Gli esemplari giovani spesso mostrano una carena dorsale dentellata che conferisce un aspetto di "dorso a sega".
    I maschi si distinguono dalle femmine per la lunga coda che si sviluppa con il raggiungimento della maturità sessuale, che avviene intorno ai 13 anni. Anche le unghie degli arti anteriori nel maschio sono più sviluppate che nella femmina.

    Abitudini

    Di Caretta caretta, come della maggior parte delle tartarughe marine, si conosce ancora molto poco.
    Come tutti i rettili, hanno sangue freddo il che le porta a prediligere le acque temperate. Respirano aria, essendo dotate di polmoni, ma sono in grado di fare apnee lunghissime. Trascorrono la maggior parte della loro vita in mare profondo, tornando di tanto in tanto in superficie per respirare.
    In acqua possono raggiungere velocità superiori ai 35 km/h, nuotando agilmente con il caratteristico movimento sincrono degli arti anteriori.
    Sono animali onnivori: si nutrono di molluschi, crostacei, gasteropodi, echinodermi, pesci e meduse, ma nei loro stomaci è stato trovato di tutto: dalle buste di plastica, probabilmente scambiati per meduse, a tappi, preservativi, bambole, portachiavi, bottoni, penne e posate ed altri oggetti di plastica.

    Riproduzione

    In estate, nei mesi di giugno, luglio ed agosto, maschi e femmine si danno convegno nelle zone di riproduzione, al largo delle spiagge dove le prime sono probabilmente nate. Hanno infatti una eccezionale capacità di ritrovare la spiaggia di origine, dopo migrazioni in cui percorrono anche migliaia di chilometri. Alcuni studi [citazione necessaria] hanno dimostrato che le piccole appena nate sono capaci di immagazzinare le coordinate terrestri del nido, a causa del magnetismo, oltre ai feromoni ed altre caratteristiche ambientali che consentono un imprintig della zona natia. È essenziale che le piccole raggiungano il mare da sole, senza contatti umani, questo potrebbe causare la perdita della memoria del nido che consentirà loro di tornare sulla spiaggia dove sono nate 25 anni dopo per nidificare.
    Gli accoppiamenti avvengono in acqua: le femmine si accoppiano con diversi maschi, collezionandone il seme per le successive nidiate della stagione; il maschio si porta sul dorso della femmina e si aggrappa saldamente alla sua corazza, utilizzando le unghie ad uncino degli arti anteriori, poi ripiega la coda e mette in contatto la sua cloaca con quella della femmina. La copula può durare diversi giorni.
    Avvenuto l'accoppiamento la femmina attende per qualche giorno in acque calde e poco profonde il momento propizio per deporre le uova;in ciò è facilmente disturbata dalla presenza di persone, animali, rumori e luci. Giunte, con una certa fatica, sulla spiaggia vi depongono fino a 200 uova, grandi come palline da ping pong, disponendole in buche profonde, scavate con le zampe posteriori. Quindi le ricoprono con cura, per garantire una temperatura di incubazione costante e per nascondere la loro presenza ai predatori. Completata l'operazione fanno ritorno al mare. È un rito che si può ripetere più volte nella stessa stagione, ad intervalli di 10-20 giorni.
    Le uova hanno un'incubazione tra i 42 e i 65 giorni (si è registrato un periodo lungo di 90 giorni, a causa di una deposizione tardiva che è coincisa con il raffreddamento del suolo), e, grazie a meccanismi non ancora chiariti, si schiudono quasi tutte simultaneamente. Con differenza sostanziali tra i vari substrati che costituiscono la spiaggia dove è stata fatta la deposizione. La temperatura e l'umidità del suolo, la granulometria della sabbia sono fattori determinanti per la riuscita della schiusa. I suoli molto umidi determinano spesso la perdita delle uova poiché molte malattie batteriche e fungine possono attaccare le uova, inoltre alcuni coleotteri possono raggiungere il nido e parassitarle. La temperatura del suolo determinerà il sesso dei nascituri, le uova che si trovano in superficie, si avvantaggiano di una somma termica superiore a quelle che giacciono in profondità, pertanto le uova di superficie daranno esemplari di sesso femminile e quelle sottostanti, di sesso maschile.
    I piccoli per uscire dal guscio utilizzano una struttura particolare, il "dente da uovo", che verrà poi riassorbito in un paio di settimane. Usciti dal guscio impiegano dai due ai sette giorni per scavare lo strato di sabbia che sormonta il nido e raggiungere la superficie e quindi, in genere col calare della sera, dirigersi verso il mare. In condizioni naturali corrono prontamente verso il mare, la luce delle stelle che si specchiano le attira. Ma ormai la forte antropizzazione determina una concentrazione di luci artificiali che spesso disorientano le piccole appena nate, facendole deviare dal cammino, determinando talora la perdita di tutta la nidiata. Bisogna costruire delle barriere per mascherare le luci parassite, in questo caso gli operatori che custodiscono i nidi dovranno accompagnare illuminando con luci fioche bianche (luci a LED azzurre) il cammino delle piccole verso il mare.
    Solo una piccola parte dei neonati riesce nell'impresa, cadendo spesso vittima dei predatori, tra cui l'uomo; di quelli che raggiungono il mare infine, solo una minima parte riesce a sopravvivere sino all'età adulta.
    Giunte a mare nuotano ininterrottamente per oltre 24 ore per allontanarsi dalla costa e raggiungere la piattaforma continentale, dove le correnti concentrano una gran quantità di nutrienti. Questo è dovuto ad un forte impulso che fa parte dell'istinto, pertanto la natura ha provveduto che una parte del tuorlo dell'uovo, venga immagazinato nelle pinne. Le pinne con un carburante simile, composto da sostanze grasse e zuccheri consentiranno alle piccole di nuotare notte e giorno senza interruzione, fino a che esaurite le energie avranno raggiunto le aree ricche di plancton di cui si cibano.
    Dove esattamente trascorrano i primi anni della loro vita è un mistero che i biologi non sono ancora riusciti a spiegare; solo dopo alcuni anni di vita, raggiunte dimensioni che le mettono al riparo dai predatori, fanno ritorno alle zone costiere. Alcune osservazioni, fatte in collaborazione con i pescatori della costa jonica calabrese, hanno consentito di censire diverse centinaia di esemplari quasi coetanei che soggiornano in un punto determinato, di fronte al faro di Capospartivento, dove si incontrano delle correnti importanti in una zona di calma, al confine delle correnti le tartarughe passerebbero diversi anni prima di iniziare la grande migrazione verso altri mari.

    Sottospecie

    Esistono due sottospecie:

    * la C. caretta gigas, diffusa nell'Oceano Pacifico e nell'Oceano indiano
    * la C. caretta caretta, diffusa nell'Oceano Atlantico e nel Mar Mediterraneo. La sottospecie del Mediterraneo ha sviluppato un corredo genetico peculiare, a dimostrazione del fatto che la popolazione mediterranea è sostanzialmente indipendente e isolata. Più piccola rispetto alle conspecifiche di altri mari, eccezionalmente arriva al metro di lunghezza per massimo 140 kg di peso.

    Specie simili


    Superficialmente i giovani possono assomigliare alla tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii). Gli adulti hanno qualche somiglianza con la tartaruga franca o tartaruga verde (Chelonia mydas) e con la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata).

    Distribuzione

    La specie, e le sue sottospecie, risiedono di preferenza in acque profonde e tiepide, prossime alle coste, dell'Oceano Atlantico, del Mar Mediterraneo e del Mar Nero nonché dell'Oceano Indiano e dell'Oceano Pacifico.
    Nel Mar Mediterraneo frequenta soprattutto le acque dell’Italia, della Grecia, della Turchia e di Cipro ma anche di Tunisia, Libia, Siria e Israele.
    La specie è minacciata dall'inquinamento marino, dalla riduzione degli habitat di nidificazione e dagli incidenti causati dalle reti a strascico e dagli altri sistemi di pesca.

    Siti di nidificazione nel Mar Mediterraneo

    Nel Mediterraneo gli ambienti di riproduzione sono ormai limitatissimi per il disturbo umano dovuto al turismo balneare.


    Italia


    Le principali zone di nidificazione in Italia sono:

    * la spiaggia della Pozzolana di Ponente di Linosa;
    * la spiaggia dell'Isola dei conigli di Lampedusa;
    * la spiaggia di Spropoli a Palizzi in provincia di Reggio Calabria.

    Deposizioni occasionali sono state segnalate anche in altre zone:

    * Sicilia:
    o spiaggia di Giallonardo, vicino Siculiana (AG): nell'estate 2005 ci sono state due nidificazioni (evento mai registrato in precedenza); censite 169 uova, ventisette delle quali si sono schiuse, venti tartarughine hanno raggiunto il mare.
    * Calabria: in oltre 10 anni sulle spiagge calabresi, si è assistito alla nascita di quasi 2000 tartarughe, la media di sopravvivenza è di una su mille. I luoghi di nidificazione sono su tutta la costa jonica della provincia di Reggio, tra San Lorenzo e Ferruzzano si sono avute negli anni una media di 19 nidi:
    o Bova, da 0 a 5 nidi per anno e da 0 a 1 nido per anno;
    o Marina di Galati, da 0 a 3 nidi per anno;
    o Brancaleone da 0 a 5 nidi per anno;
    o Marina di San Lorenzo da 0 a 1 nido per anno;
    o Bruzzano da 0 a 3 nidi per anno;
    o Ferruzzano da 0 a 3 nidi per anno;
    o spiaggia di Torre Lupo, Reggio Calabria, il 21 agosto 2007.
    * Puglia:
    o spiaggia di Torre Guaceto (BR);
    o spiagge di Santa Maria di Leuca (LE);
    o spiaggia di Torre dell'Orso (LE) (uova deposte il 13 luglio 2006; censite 46 uova, nessuna schiusa).
    * Sardegna:
    o spiaggia di Geremeas (CA) (uova deposte il 29 Luglio 2006 [1].
    * Campania:
    o spiaggia di Cuma[2].
    o spiaggia di Ogliastro Marina nel Cilento (uova deposte il 27 Luglio 2006; censite 69 uova, 31 delle quali si sono schiuse;

    Le nidificazioni al difuori del contesto delle aree riproduttive è spesso ad opera di tartarughe primipare, o non perfettamente in salute che vinte dalle correnti sono costrette a nidificare il località lontane e diverse da quelle naturali. Si assiste in questo caso alla perdita di quasi tutte le uova, per fattori diversi, come mancata fecondazione, uova non perfettamente formate e soprattutto per fattori ambientali legati al clima ed ai suoli.

    Grecia

    * spiagge di Gerakas, Dafni, Sekania, Kalamaki, Laganas e isolotto di Marathonisi, a Zante. Il Parco Nazionale Marino di Zante, istituito il 22 dicembre 1999, rappresenta uno dei maggiori siti di nidificazione nel Mediterraneo, con una media di 1300 nidi all'anno.
    * spiagge di Kiparissia e Lakonikos, nel Peloponneso
    * spiaggia di Mounda a Ratziki, Cefalonia
    * spiagge di Rethymno, Kommos e Hania a Creta.
    * isola di Rodi

    Turchia

    * spiaggia di Isutzu o Iztuzu, vicino l’antica città di Caunos
    * litorale di Çirali
    * altri siti sulla costa dell'Anatolia, tra il delta di Dalyan e Anamur.

    Cipro

    * baia di Lara a sud della penisola di Akamas

    Tunisia

    * Golfo di Gabes

    Libia


    La Libia è un paese ancora fuori dai circuiti turistici, ricco di spiagge incontaminate. Qui nidificano migliaia di tartarughe ogni anno. Lungo i 1.250 chilometri di costa è stata calcolata la presenza di 9.000 nidi.


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    Edited by Shagrath82 - 26/6/2010, 11:01
     
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