Malattie sessualmente trasmissibili

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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    AIDS

    Patogenesi
    HIV è un retrovirus del genere lentivirus, caratterizzato cioè dal dare origine a infezioni croniche, che sono scarsamente sensibili alla risposta immunitaria ed evolvono lentamente ma progressivamente e che, se non trattate, possono avere un esito fatale. In base alle conoscenze attuali, HIV è suddiviso in due ceppi: HIV-1 e HIV-2. Il primo dei due è prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale. HIV-2, invece, si trova per lo più in Africa occidentale.
    Una volta entrato nel circolo sanguigno dell'ospite non infetto HIV ricerca alcune particolari cellule in cui può riprodursi. Per farlo utilizza una glicoproteina che sporge sulla superficie della sua membrana esterna, la gp120, la quale è un recettore per le cellule bersaglio, mentre un'altra proteina, la gp41, serve per fondere la membrana del bersaglio e permettere al virus di penetrare al suo interno.
    Le cellule bersaglio di HIV sono quelle che ricche di recettori CD4, in particolare alcuni linfociti chiamati CD4+, che hanno un ruolo particolarmente cruciale nel sistema immunitario: sono infatti del veri e propri "direttori d'orchestra" che attivano di volta in volta settori diversi delle difese a seconda del tipo ospite indesiderato con cui vengono in contatto (batteri, virus, protozoi, funghi, vermi, cellule tumorali, ecc.).
    Una volta entrato nella cellula HIV, tramite alcuni enzimi contenuti nella sua struttura, integra il proprio codice genetico (RNA) con quello della cellula ospite trascrivendolo in DNA. Gli enzimi coinvolti in questa fase si chiamano trascrittasi inversa e integrasi. Si tratta di un processo molto importante per il virus, poiché "mascherandosi" all'interno del DNA diventa di fatto inattaccabile dalle difese immunitarie e dalle terapie farmacologiche: è questa la caratteristica principale del processo biologico dei retrovirus.
    A questo punto HIV può avviare subito la replicazione virale o può restare inattivo dentro la cellula, costituendo un serbatoio ineliminabile, che garantisce al virus la sopravvivenza nell'organismo ospitante a tempo indeterminato, per l'intera durata della vita del soggetto. Quando il virus si attiva (per ragioni non completamente chiarite, ma legate comunque all'entrata in attività della cellula ospite e quindi sistema immunitario) il virus obbliga la cellula ospitante a produrre al suo interno le proteine e l’acido nucleico virale (RNA) che, come un puzzle, si assemblano all'interno della stessa cellula fino a creare virioni completi. L'enzima che modella le macroproteine in una forma idonea a dare vita a nuovo virus è chiamato proteasi.
    I nuovi virioni vengono quindi espulsi dalla cellula per gemmazione e immessi nel sistema circolatorio. Nell'uscire essi formano le proprie membrane esterne (pericapside) m col materiale della cellula che li ha prodotti e creano una sorta di lacerazioni nella membrana cellulare ospitante che provocano la morte della cellula. È quindi il processo replicativo, non l'ingresso o la permanenza del virus nella cellula, che è dannoso. Le terapie farmacologiche odierne mirano infatti a inibire la replicazione e l'aggancio di nuovi bersagli agendo sulle proteine e sugli enzimi del virus, non eliminando il virus.

    Trasmissione
    Dagli inizi dell'epidemia, sono state individuate principalmente tre vie di trasmissioni dell'HIV, tutte riguardanti la penetrazione diretta di sangue o altre secrezioni infette nel circolo ematico di un soggetto sano. HIV inoltre è un virus a bassa contagiosità, che per trasmettersi ha bisogno di un'elevata concentrazione di particelle virali vitali. Tale condizione si realizza pressoché esclusivamente nel sangue e nelle secrezioni genitali, in particolare lo sperma; in misura minore, ma comunque sufficiente, nelle secrezioni vaginali. Altre secrezioni contengono HIV a bassa cancentrazione, ma l'esperienza e numerosi studi sperimentali escludono la trasmissibilità tramite queste secrezioni, salvo situazioni del tutto eccezionali, come la presenza abbondante di sangue nella saliva.

    Sangue e derivati
    L'immissione di sangue infetto nel circolo di un soggetto sano genera un'infezione pressoché certa. Questo tipo di contagio è stato molto frequente prima della messa a punto del test HIV, tramite trasfusioni di sangue infetto (ad esempio per pazienti emofiliaci), trapianti di organi di donatori infetti e accidentali casi di ferimento con strumenti quali rasoi, aghi (anche da tatuaggio) o bisturi appena venuti in contatto con materiale infetto, soprattutto in ambito professionale (incidenti di laboratorio). L'esclusione sistematica dalle donazioni dei soggetti infetti e la sterilizzazione di tutti gli strumenti che entrano in contatto col sangue ha reso questo tipo di contagio prettamente episodico.
    Lo scambio di sangue fu inoltre responsabile dell'esplosione dell'epidemia tra tossicodipendenti da eroina, tramite lo scambio di siringhe usate. Tale contagio, legato a pratiche molto diffuse di condivisione della droga e della siringa tra gruppi di giovani in momenti di aggregazione, rappresentò negli anni ottanta la principale forma di contagio in paesi mediterranei quali la Spagna, l'Italia, la Yugoslavia. Il crollo dell'uso dell'eroina nei paesi occidentali ha drasticamente ridotto l'incidenza di questa forma di contagio in tali zone, sebbene restino a rischio ampie fasce di consumatori concentrati soprattutto nell'Europa dell'est e nei paesi emergenti dell'Asia.

    Rapporti sessuali

    Rapporti penetrativi
    La maggior parte delle infezioni del virus dell'HIV avviene attraverso rapporti sessuali penetrativi non protetti, sia etero che omosessuali.
    La secrezioni genitali possono infatti raggiungere livelli elevanti di cariche virale e la dinamica della penetrazione favorisce la microfessurazione delle mucose genitali, di per sé già congeste durante l'atto, attraverso le quali il virus può entrare nel circolo dell'individuo sano. Lo sperma è mediamente più infettante delle secrezioni vaginali, perché oltre al virus libero può contenere linfociti infetti; inoltre esso può rimanere anche a lungo a contatto con le mucose vaginali o rettali. La donna diventa più infettante in presenza di sangue mestruale, infezioni o infiammazioni vaginali.
    I rapporti anali rappresentano un maggior rischio di contagio, per la maggiore facilità con cui crea microtraumi e per la natura della mucosa rettale, strutturalmente meno ideonea a contrastare l'impianto dell'infezione.
    Lo stesso pene è dotato di mucose che possono lacerarsi durante i rapporti sessuali entrando in contatto con sangue e secrezioni infette, rendendo rischioso quindi anche il ruolo attivo. L'ispessimento della pelle in seguito alla circoncisione abbassa notevolmente (ma non esclude) i rischi di tale tipo contagio.
    Il preservativo, impedendo il contatto tra mucose genitali e secrezioni potenzialmente infette, è un presidio sanitario di provata efficacia: il suo uso corretto rende il sesso sicuro e impedisce il contagio da tutte le malattie sessualmente trasmissibili.

    Rapporti non penetrativi
    Le pratiche sessuali non penetrative non possono essere definite prive di rischi in assoluto, sebbene le segnalazioni di contagio sicuramente attribuibili a tali pratiche abbiano un valore del tutto aneddotico e di eccezionale rarità.
    Non esistono dimostrazioni della contagiosità fellatio: esiste sicuramente una plausibilità biologica del contagio, ma l'esperienza medica parla di un rischio ridotto. In ogni caso la pratica può essere rischiosa solo se sperma infetto entra a contatto con ferite, mucose lacerate (anche microlacerate) o ulcerate della bocca. Il rischio è oggettivamente nullo in assenza di contatto con lo sperma e per chi riceve la fellatio, anche se chi la pratica è un sieropositivo contagioso. L'uso del preservativo annulla qualsiasi possibilità di contagio.
    Stesse considerazioni valgono per il cunnilingus, anche se non esistono casi accertati di contagio attraverso questa pratica sessuale. La minore concentrazione di virus nelle secrezioni vaginali rendono le possibilità di contagio estremamente basse, mentre la presenza di sangue mestruale è invece rischiosa. Barriere di lattice (come la superficie di un profilattico aperto con un taglio longitudinale) o di pellicola plastica eliminano qualsiasi rischio.
    Rimming, fist fucking e golden shower possono essere teoricamente foriere di contagio HIV solo se tracce di sangue o di sperma infetto entrano in contatto con ferite, ulcerazioni o piaghe della pelle o delle mucose di una persona sana. Si tratta di una considerazione generale che vale per qualsiasi tipo di contatto, anche accidentale. I tessuti permeabili e particolarmente irrorati da vasi sanguigni delle congiuntive della cornea pare invece che siano permeabili anche in assenza di ferite. La pelle è una barriera efficace al virus e nemmeno graffi superficiali o pellicine alzate permettono al virus di entrare nella circolazione sanguigna

    La Gonorrea
    La gonorrea o blenorragia è una malattia a trasmissione sessuale. È popolarmente nominata "scolo". I termini derivano dal greco, il primo da "gonos" (seme) e "reo" (scorro), il secondo da "blenos" (muco) e "ragoo" (erompo), e si riferiscono al principale sintomo, ovvero le perdite uretrali. I due termini, che nella pratica medica sono sinonimi, coprono anche tutta una serie di manifestazioni extrauretrali: difatti l'infezione può riguardare anche la cervice uterina, il retto, la faringe, e per diffusione ematogena le articolazioni (artrite gonococcica), il fegato (epatite) e il miocardio (miocardite).

    Sintomatologia
    Nei soggetti di sesso femminile: fra i vari sintomi che caratterizzano la gonorrea si riscontrano bruciore vaginale, perdite vaginali giallastre, minzioni frequenti, gonfiore delle parti genitali, rossore, prurito. In più della metà delle donne infette tuttavia la malattia risulta asintomatica. L'infezione può diffondersi per via ematica e possono manifestarsi episodi di febbre, tachicardia, vomito, nausea, peritonite, ovarite (processo infiammatorio dell’ovaio).
    Nei soggetti di sesso maschile: la malattia, se contratta attraverso rapporti sessuali attivi, si manifesta dopo un periodo di 2-7 giorni di incubazione, dopo questo periodo si mostrano soprattutto sintomi quali la difficoltà all'emissione di urine: disuria e stranguria. In assenza di trattamento i sintomi possono durare anche mesi prima di normalizzarsi. In caso di contrazione a seguito di rapporti anali passivi si può riscontrare l'infezione a livello rettale.

    Eziologia
    La gonorrea è causata da un diplococco Gram-negativo, la Neisseria gonorrhoeae. La trasmissione avviene:
    Per contatto diretto con una persona già infetta
    Per contatto con secrezioni infette
    Tramite il canale del parto dalla madre al figlio

    Epidemiologia
    Nel 1995 l'incidenza era di 150 persone infette ogni 100.000, soprattutto in persone che hanno avuto molteplici partner. Nelle donne infette, inoltre, tale morbo è spesso accompagnato da altri simili.
    Si è stimato che ogni anno ci siano più di 700.000 nuovi casi solo negli USA, e si stima che tali casi siano solo la metà di quelli dichiarati. La mancanza di preservativi nei paesi non industrializzati aumenta il rischio e di conseguenza anche il numero di casi accertati della malattia. Recenti studi effettuati in Canada hanno dimostrato che la gonorrea trova la più alta incidenza in giovani donne intorno alla seconda decade di età (20 anni).

    Terapie

    La terapia maggiormente utilizzata è la somministrazione di penicillina, già in uso dal 1970. In alternativa si possono usare diversi tipi di antibiotici.
    Attualmente nella gonorrea non complicata, si preferisce utilizzare una unica dose di spectinomicina, perché nell'evenienza di co-infezione con la sifilide permette di evitare che si instauri la cosiddetta "sifilide mascherata", nel quale il sifiloma primario o "chancre" sulla pelle non si forma, ma comunque la sifilide si estende al resto dell'organismo, e si scoprirà dopo anni sotto forma di sifilide secondaria.
    È da considerare che spesso, senza accertamenti di laboratorio, la gonorrea non è distinguibile da una uretrite non gonococcica da clamidia, per cui viene anche utilizzata la doxiciclina in combinazione con le betalattamine sopra nominate.

    Sifilide
    La sifilide, conosciuta anche come lue (dal greco λύω=sciolgo) e con numerosi altri nomi, è una malattia infettiva a prevalente trasmissione sessuale.
    È causata da un batterio, il Treponema pallidum, dell'ordine delle spirochete, che si presenta al microscopio come un piccolo filamento a forma di spirale, identificato nel 1905 da Fritz Schaudinn e Erich Hoffmann. Oltre che per via sessuale, il contagio può estendersi al feto, nella donna gravida con infezione recente, attraverso la placenta (trasmissione transplacentare). In tal caso, il feto presenta un quadro di sifilide congenita con malformazioni che possono interessare la cute e le mucose, l'apparato scheletrico, l'occhio, il fegato, il rene e il sistema nervoso centrale.
    Pertanto, questa malattia può essere contratto nella forma congenita in due modi: prima ancora della nascita, attraverso il sangue materno infetto; oppure alla nascita, durante la discesa nel canale del parto. Comunque, nella maggior parte dei casi, il contagio (possibile fin dalle primissime fasi della malattia) avviene attraverso i rapporti sessuali. I casi di acquisizione della malattia con le trasfusioni sono ormai rarissimi nel mondo, grazie ai controlli accurati che vengono effettuati prima che il sangue sia trasfuso.
    Ad August von Wassermann va il merito di aver scoperto il primo metodo biologico per compiere una diagnosi precisa sulla malattia.

    Epidemiologia
    Si ritiene che circa 12 milioni di persone siano state infette da sifilide nel 1999, con più del 90% dei casi registrati nei paesi in via di sviluppo. La malattia colpisce tra le 700.000 e le 1,6 milioni di donne gravide all'anno, con conseguenti aborti spontanei, bambini nati morti e casi di sifilide congenita. Nell'Africa sub-sahariana, la sifilide contribuisce a circa il 20% delle morti perinatali. L'incidenza è in proporzione più alta tra i consumatori di droghe per via endovenosa, in coloro che sono infettati da HIV e negli uomini che hanno rapporti occasionali e frequenti. Negli Stati Uniti, i tassi di sifilide erano quasi uguali per gli uomini e per le donne nel 1997, ma nel 2007 erano sei volte maggiori negli uomini rispetto alle donne.
    La sifilide era molto comune in Europa nel corso del XVIII e XIX secolo. Nel mondo sviluppato, nel corso del XX secolo, le infezioni diminuirono rapidamente, grazie alla diffusione degli antibiotici. Dal 2000, i casi di sifilide sono aumentati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia ed in Europa, soprattutto tra le persone omosessuali. La più alta incidenza di casi tra etereosessuali si ha, a partire dal 1990, in Cina e in Russia. Questo fatto è stato attribuito a pratiche sessuali non sicure, come la promiscuità sessuale, la prostituzione e lo scarso utilizzo del profilattico.
    Se non trattata, l'infezione ha una mortalità che va dall'8% al 58%, con un tasso di mortalità maggiore nei maschi. I sintomi della sifilide sono diventati meno gravi nel corso dei degli ultimi due secoli, in parte grazie alla diffusa disponibilità di trattamenti efficaci e in parte dalla diminuzione della virulenza della spirocheta. Con il trattamento precoce si verificano poche complicazioni. La sifilide aumenta il rischio di trasmissione dell'HIV da due a cinque volte e la coinfezione è frequente (30-60% in alcuni centri urbani).

    Eziologia
    Il Treponema pallidum sottospecie pallidum è un batterio, Gram-negativo, altamente mobile, facente parte del phylum delle spirochete, ed è l'agente eziologico della sifilide. L'uomo è l'unico serbatoio naturale noto per la sottospecie pallidum. Esso è in grado di sopravvivere senza un ospite per pochi giorni. Ciò è dovuto al suo genoma piccolo (1,14 MDA) e per la sua incapacità di creare la maggior parte dei macronutrienti di cui necessita.

    Trasmissione
    La sifilide si trasmette principalmente per contatto sessuale o durante la gravidanza dalla madre al feto. La spirocheta è in grado di passare attraverso le mucose intatte o la cute danneggiata. È quindi trasmissibile attraverso contatti orali e attraverso rapporti sessuali vaginali e anali. Circa il 30 e il 60% delle persone esposte rispettivamente alla sifilide primaria o secondaria contrarranno la malattia. La sua infettività è resa evidente dal fatto che un individuo, a cui vengono inoculati solo 57 organismi, ha una probabilità del 50% di risultare infetto. Oltre che per via sessuale, l'infezione può essere trasmessa attraverso la trasfusione di sangue o emoderivati. Tuttavia, grazie ai controlli, tale rischio risulta molto basso. Il rischio di trasmissione da aghi condivisi appare limitato. La sifilide non può essere trasmessa attraverso sedili WC, tramite le attività quotidiane, con l'uso di vasche idromassaggio, né con la condivisione di posate o indumenti.

    Segni e sintomi
    La sifilide si può presentare in una delle quattro diverse fasi: primaria, secondaria, latente e terziaria.[24] Inoltre può presentarsi anche come malattia congenita.[16] Sir William Osler la definì "la grande imitatrice" per via delle sue varie presentazioni.
    Sifilide primaria
    La sifilide primaria viene generalmente acquisita tramite diretto contatto sessuale con una persona affetta. Da circa 3 a 90 giorni dopo l'esposizione iniziale (in media 21 giorni) una lesione cutanea, chiamata sifiloma, compare nel punto di contatto. Questo generalmente, nel 40% dei casi, si presenta come una singola, compatta, indolore, non pruriginosa ulcerazione della pelle con una base pulita e bordi taglienti tra i 0,3 e 3,0 cm. Nella forma classica, essa si evolve da una macula a papula verso un'ulcera. In alcuni casi possono essere presenti lesioni multiple (~40%). Le localizzazioni più comuni sono: nelle donne il collo dell'utero (il 44%), il pene negli uomini che hanno contratto l'infezione con rapporti eterosessuali (99%) e la zona anale e rettale negli uomini che hanno ricevuto rapporti anali (34%). L'ingrossamento linfonodale frequentemente (80%) si verifica intorno alla zona di infezione, e si ha 7-10 giorni dopo la formazione del sifiloma. La lesione può persistere per 3-6 settimane se non viene trattata.
    Sifilide secondaria
    Il periodo secondario inizia circa 4-10 settimane dopo l'infezione primaria. La fase secondaria è nota per i molti modi diversi in cui può manifestarsi; nella maggior parte dei casi, i sintomi coinvolgono la pelle, le mucose e i linfonodi. Possono verificarsi eruzioni cutanee simmetriche di colore rosso-rosa, tipicamente sul tronco e agli arti. L'eruzione può diventare maculopapulare o pustolosa. Nelle mucose può presentarsi con lesioni piatte, larghe, di colore biancastro, simili a verruche note come latum condilomi. Tutte queste lesioni ospitano i batteri infettivi. Altre manifestazioni cliniche possono includere febbre, mal di gola, malessere generale, astenia, perdita di capelli e mal di testa. I sintomi acuti di solito si risolvono dopo tre-sei settimane. Tuttavia, nel circa il 25% dei casi si può presentare una ricorrenza dei sintomi secondari. Molte persone che si presentano con sifilide secondaria (40-85% delle donne, 20-65% degli uomini) non riferiscono del sifiloma classico della sifilide primaria.
    Sifilide latente
    La sifilide latente è definita quando si ha la prova sierologica dell'infezione, ma non sono presenti i sintomi della malattia. Si distingue in precoce e tardiva, a seconda che si verifichi rispettivamente meno di 1 anno o più di 1 anno dopo la sifilide secondaria. La sifilide latente precoce può avere una ricaduta dei sintomi. La sifilide latente tardiva è asintomatica e meno contagiosa.
    Sifilide terziaria
    Senza trattamento, un terzo delle persone infette sviluppano la malattia terziaria. La sifilide terziaria si può verificare da tre a 15 anni dopo l'infezione iniziale e può essere divisa in tre forme diverse: la sifilide gommosa (15% dei pazienti), la neurosifilide tardiva (6,5%), e la sifilide cardiovascolare (10%). Le persone affette da sifilide terziaria non sono contagiose.
    La sifilide gommosa si verifica di solito da 1 a 45 anni dopo l'infezione iniziale, con una media di 15 anni. Questo stadio è caratterizzato dalla formazione di granulomi gommosi cronici di variabili dimensioni. Essi, in genere, colpiscono la cute, le ossa e il fegato, ma possono presentarsi ovunque.
    La neurosifilide è un'infezione che coinvolge il sistema nervoso centrale. La neurosifilide precoce può presentasi velocemente ed asintomatica, in forma di meningite sifilitica, oppure in ritardo, come la sifilide meningovascolare, la quale comporta paresi, perdita di equilibrio e dolori agli arti inferiori. La neurosifilide tardiva si verifica in genere da 4 a 25 anni dopo l'infezione iniziale, nelle forme di gomma luetica, tabe dorsale, paralisi progressiva, sclerosi combinata luetica, oppure nella forma congenita.
    La sifilide cardiovascolare si verifica di solito 10-30 anni dopo l'infezione iniziale. La complicanza più comune è l'aortite sifilitica che può portare a formazione di aneurismi dell'aorta.
    Sifilide congenita
    La sifilide congenita può essere contratta durante la gravidanza o durante il parto. Due terzi dei bambini nascono senza sintomi. I sintomi più comuni che poi si svilupperanno nel corso degli anni di vita comprendono epatosplenomegalia (70%), rash (70%), febbre (40%), neurosifilide (20%) e polmonite (20%). Se non trattata, la sifilide congenita può portare a deformazioni del naso, alla presenza del segno di Higoumenakis, alla tibia a sciabola, all'articolazione di Clutton e ad altre patologie.

    Chlamydia trachomatis
    La Chlamydia trachomatis è un batterio gram-negativo parassita intracellulare obbligato appartenente alla famiglia Chlamydiaceae.
    È l'unica specie di clamidia patogena per l'uomo.

    Ciclo vitale
    C. trachomatis è caratterizzata da due stadi cellulari che si alternano durante il ciclo di sviluppo: il corpo elementare (dimensioni 200-300 nm), incapace di riprodursi, ma in grado di sopravvivere al di fuori della cellula ospite, e il corpo reticolare (che raggiunge le dimensioni di 1000 nm), in grado di riprodursi ma privo di capacità infettante. Il corpo reticolare si riproduce all’interno della cellula infetta, e subisce quindi un processo di riorganizzazione che lo trasforma in corpo elementare, che fuoriesce dalla cellula infetta a seguito di un processo di lisi. La trasmissione, pertanto, avviene attraverso il corpo elementare, per contagio interumano, sia per via sessuale che materno-fetale.

    Infezione
    È molto diffusa in Nord America, ma che anche in Europa sta aumentando di incidenza. È pericolosa perché può rapidamente portare a infertilità e dare una infiammazione pelvica acuta, molto grave.

    Trichomonas vaginalis
    Il Trichomonas vaginalis è un protozoo appartenente alla classe dei flagellati, conosciuta come parassita umano all'origine dell'omonima malattia della trichomoniasi vaginale, un'infiammazione vaginale.

    Struttura
    T. vaginalis è un flagellato di forma tondeggiante, ovale o a pera del diametro di 5-20 µm. Si muove grazie ai suoi quattro flagelli nella sua parte frontale che utilizza come una frusta e grazie ad un quinto flagello attaccato ad una membrana ondulante posto sul retro. Il flagellato possiede una coda uncinata, chiamata assostile, sul lato opposto rispetto a quello dei flagelli, che si pensa sia utilizzata per aderire alle cellule bersaglio del parassita, provocando però nell'ospite irritazione o infiammazione. T. vaginalis esiste solo in forma di trofozoite e non presenta forma cistica. Si moltiplica per fissione binaria.

    Epidemiologia
    È diffuso in tutto il mondo e viene trasmesso principalmente per via sessuale, molto raramente attraverso oggetti contaminati. I neonati possono esserne infettati qualora il canale del parto ne sia infetto. Si tratta di un parassita enormemente diffuso, è il patogeno più comune trasmesso per via sessuale, perfino più comune della clamidia. È molto più comune nelle donne che negli uomini che tendono ad essere portatori asintomatici. La prevalenza è variabile dal 3 sino al 25% nelle aree urbane.

    Clinica
    T. vaginalis in buona parte dei casi è asintomatico o dà come unico sintomo secrezioni vaginali acquose maleodoranti. Nei casi di trichomoniasi si verifica irritazione ed infiammazione dell'epitelio della vagina o dell'uretra, più raramente della prostata, causata dall'assostile del parassita. I sintomi più comuni sono prurito, bruciore e minzione dolorosa.

    Diagnosi
    La diagnosi si effettua mediante esame microscopico di secrezioni vaginali o uretrali per identificare il parassita

    Terapia
    Il farmaco d'elezione per la trichomoniasi è il metronidazolo.

    Herpes genitale
    La malattia infettiva nota come herpes genitale è sostenuta prevalentemente dal virus Herpes simplex di tipo 2 (HSV-2) e trasmessa per contatto venereo. Lesioni del tutto analoghe possono essere comunque sostenute dal virus Herpes simplex di tipo 1 (HSV-1), responsabile dell'herpes labiale e del patereccio erpetico; in questi casi, la trasmissione avviene più frequentemente per contatto dei genitali con la mucosa labiale infetta o con le lesioni cutanee di mani o dita.

    Esame obiettivo dermatologico
    L'herpes simplex genitale si manifesta con lesioni focali eritemato-edemato-papulo-vescicolari localizzate sulla mucosa vulvare (vestibolo, piccole labbra o sulla cute delle grandi labbra) o peniena (glande, solco balano-prepuziale o sulla cute di asta e prepuzio). Le lesioni evolvono verso piccole ulcere dolenti e cocenti dal fondo non sanioso talora ricoperte di croste. L'estensione e la gravità dell'herpes simplex genitale è maggiore in caso di prima manifestazione (infezione primaria), con lesioni che possono estendersi alla superficie mediale delle cosce, all'area perianale, alla vagina, all'ano e/o alla mucosa rettale.

    Profilo clinico
    L'infezione primaria, più grave per estensione ed intensità dei sintomi, si manifesta nella donna con la comparsa delle lesioni caratteristiche sulla mucosa vulvare associate spesso a cervicite e vaginite. Il quadro clinico è caratterizzato da disuria, leucorrea, prurito e dolore vaginale e intensa dispareunia. Le lesioni possono estendersi alla cute di perineo, natiche, cosce e ano. Nell'uomo le vescicole compaiono con maggiore frequenza a livello del glande e/o del solco balanoprepuziale, talora con estensione verso l'asta, l'uretra, la cute delle natiche e delle cosce. Il quadro clinico si caratterizza per intenso dolore, prurito e talora disuria. La cute anale e la mucosa rettale possono essere interessati per estensione delle lesioni primitive o per contatto diretto con soggetti infetti (proctite erpetica). Come per l'herpes simplex labiale o cutaneo, l'herpes simplex genitale tende a recidivare con frequenza notevolmente variabile dal soggetto a soggetto (stress psico-fisico, episodi influenzali, malattie sistemiche acute o riacutizzazioni di malattie croniche). Le recidive (infezioni secondarie) si caratterizzano per minore estensione ed intensità dei sintomi; in questi casi, le lesioni si limitano alla mucosa di vulva e/o vagina o ano della femmina e al glande/asta o ano nel maschio, talora con estensione perineale. La comparsa delle classiche vescicole erpetiche è preceduta da prurito e/o bruciore locale associato alla comparsa di eritema. La durata delle lesioni secondarie è inferiore a quella delle lesioni primarie (6-8 giorni rispetto alle 1-4 settimane).[1] Le lesioni guariscono con completa restitutio ab integrum della zona interessata, benché possa permanere un grado variabile di disestesia o dolore muco-cutaneo.

    Profilo diagnostico
    La comparsa nelle sedi descritte delle lesioni tipiche dell'herpes simplex è spesso sufficiente a porre diagnosi. In alcuni casi, dove può mancare la tipica eruzione vescicolo-ulcerativa (herpes neonatale o in soggetti immunodepressi) è tuttavia necessario escludere malattie sistemiche quali la rosolia, la toxoplasmosi o l'infezione da Citomegalovirus. In questi casi o nei casi dubbi, l'accertamento definitivo si attua con l'isolamento del virus (effetto citopatico tipico dopo isolamento in colture cellulari) nel materiale prelevato con tampone o biopsia.

    Terapia
    Nei soggetti immunocompententi, l'infezione primaria deve essere trattata per almeno 7-10 giorni con uno di questi farmaci:
    Aciclovir orale, dose di 400 mg per 3 volte al giorno
    Valaciclovir orale, dose di 1000 mg per 2 volte al giorno
    Famciclovir orale, dose di 250 mg per 3 volte al giorno.
    Queste terapie non prevengono tuttavia la comparsa delle recidive. La riduzione della frequenza di queste ultime, può essere attuata con schemi terapeutici che prevedono l'impiego a dosaggi inferiori dei suddetti farmaci per almeno 2 anni. Tale schema terapeutico può essere utilizzato, sotto stretto controllo ginecologico e con l'attenta valutazione dei benefici, nelle donne portatrici in gravidanza. Tuttavia, la presenza di lesioni genitali visibili nella donna al momento del parto è un'indicazione sufficiente al taglio cesareo. In questi casi, al neonato si somministra aciclovir alla dose di 10mg/kg (il doppio se è prematuro) 3 volte al giorno per 10-21 giorni. Le recidive di herpes simplex genitali richiedono la stessa terapia dell'infezione primaria con dosaggi e per periodi di tempo minori. Nei soggetti immunocompressi, la terapia delle lesioni (primarie e secondarie) è invece molto più complessa, dovendo talora associare il foscarnet endovenoso o gel per uso topico a base di cidofovir.

    Virus del papilloma umano
    Il papilloma virus umano o HPV (acronimo di Human Papilloma Virus) è un virus appartenente al gruppo dei papillomavirus. Le infezioni da HPV sono estremamente diffuse e possono causare malattie della pelle e delle mucose.

    Epidemiologia
    Tutti i tumori del collo dell'utero sono causati dall'HPV. I tipi di virus del papilloma umano possono venir suddivisi in HPV a basso rischio, i quali attaccano la cute (6, 11, 42, 43, 44) e HPV ad alto rischio, i quali attaccano le mucose (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68). Si calcola che oltre il 70% delle donne contragga un'infezione genitale da HPV nel corso della propria vita, ma la grande maggioranza di queste infezioni è destinata a scomparire spontaneamente nel corso di pochi mesi grazie al loro sistema immunitario. Solo in caso di persistenza nel tempo di infezioni di HPV ad alto rischio oncogenico è possibile, in una minoranza dei casi e nel corso di parecchi anni, lo sviluppo di un tumore maligno del collo uterino.

    Patogenesi
    Le proteine precoci del virus hanno lo scopo di favorire la crescita e la divisione della cellula; l'HPV può infatti replicare solo nelle cellule in replicazione, in quanto non codifica per una sua DNA polimerasi e ha bisogno della polimerasi della cellula ospite, che viene sintetizzata nelle cellule in attiva divisione. Le cellule bersaglio del virus sono la cute e le mucose, due tessuti che si rigenerano in continuazione. Il virus induce la crescita degli strati basale e spinoso dell'epidermide (acantosi) o dello strato superficiale della mucosa, dando origine, a seconda del luogo dell'infezione, a verruche nella cute o a papillomi nelle mucose; promuove inoltre la sintesi delle cheratine (ipercheratosi). L'espressione dei geni di HPV è correlata con le diverse tipologie di cheratina espresse negli strati dell'epidermide. Lo strato basale e quello spinoso dell'epidermide contengono all'interno del nucleo delle loro cellule anche il DNA virale dell'HPV, mentre i geni tardivi L1 e L2 che permettono la formazione del virione maturo sono espressi solo nello strato corneo dell'epidermide. La replicazione del virus avviene preferenzialmente nello strato granuloso. Il virus viene liberato insieme ai cheratinociti morti degli strati più superficiali dell'epidermide.
    I condilomi, generalmente provocati dal virus HPV, sono delle escrescenze della pelle di tipo verrucoso che colpiscono di preferenza le zone genitali, sia nel maschio (glande, meno frequentemente sotto il prepuzio, corpo del pene e scroto) sia nella femmina (perineo, vulva, vagina e cervice uterina).

    Cancerogenicità dell'HPV
    Una volta che l'HPV è entrato dentro la cellula fa sintetizzare alla cellula infettata due proteine chiamate E6 e E7, che si legano e inibiscono la RB protein (una proteina che serve a regolare le mitosi cellulare), il che causa divisioni cellulari incontrollate. Si pensa che questi cambiamenti fisiologici che vengono dati alle cellule infettate servano al virus per diffondersi meglio.

    Le infezioni da HPV
    Gli HPV si contraggono tramite contatto diretto (sessuale, orale e cutaneo) o in luoghi poco puliti (ad esempio bagni pubblici non disinfettati a norma). Non sono presenti in liquidi biologici quali sangue o sperma. Il rischio di contrarre una infezione da HPV aumenta con il numero dei partner sessuali, ed è massimo tra i giovani adulti (20-35 anni). Il virus è più frequentemente trovato tra le popolazione promiscue e in condizioni precarie di igiene. L'uso del profilattico non pare avere azione protettiva completa in quanto l'infezione è spesso diffusa anche alla cute della vulva e del perineo.
    L'infezione da HPV è asintomatica nella maggior parte dei casi. In alcuni casi, si può invece manifestare con condilomi acuminati in sede genitale (pene e vulva, perineo). Le lesioni da HPV del collo uterino possono essere riconosciute mediante il Pap test, la colposcopia o tecniche di patologia molecolare, e le lesioni del pene mediante la penescopia.
    Come in molte infezioni virali, la terapia dell'HPV è spesso problematica. Poiché tuttavia la maggior parte delle infezioni da HPV regredisce spontaneamente, solo una minoranza dei casi richiederà un trattamento. Nei casi di infezione persistente del collo uterino, non esistono attualmente trattamenti non invasivi di elevata efficacia. Nel caso l'infezione sia associata a modificazioni precancerose dell'epitelio, possono essere prese in considerazione la laserterapia o la conizzazione, ossia la resezione di una piccola parte della cervice uterina per asportare una lesione che potrebbe essere maligna o che già lo è ma di dimensioni ridotte. Per la rimozione dei condilomi acuminati della vulva, pene o perineo si può ricorrere al laser, all'elettrocoaugulazione, alla crioterapia o ad applicazioni di podofillina.
    Ogni anno, in Italia, sono circa 3.500 le donne che si ammalano di cancro del collo dell’utero. Quasi la metà muore. Nel mondo ogni anno 400.000 donne si ammalano e la metà di loro muore. Si stima che il 75% della popolazione entri in contatto con il virus almeno una volta durante la sua vita.
    Recentemente è stata scoperta una molecola che permette il trattamento del virus HPV, anche nella sua forma cutanea esterna (Verruca). Il farmaco prodotto si chiama Cidofovir, ed è un potente antivirale a largo spettro, maggiormente efficace perfino dell'Aciclovir. Il Cidofovir viene utilizzato principalmente in soggetti con problemi al sistema immunitario (come persone affette da HIV) nella formulazione liquida per via endovenosa, ma sono in produzione anche formulazioni per uso topico esterno (pomate) che non sono purtroppo ancora diffuse in Italia.

    Infezione da HPV e gravidanza
    È possibile che una donna contragga l'infezione da HPV in gravidanza, con conseguente preoccupazione circa l'andamento dell'infezione e la trasmissione al feto. Il rischio di contrarre l'infezione in gravidanza non è diverso rispetto alla non-gravidanza, e la distribuzione dei tipi virali ad alto e basso rischio non presenta differenze. L'infezione può tuttavia comparire la prima volta in gravidanza e dare origine a lesioni genitali che possono assumere aspetti aberranti, molto estese, giganti e friabili. Nonostante la trasmissione materno fetale sia possibile a livello del canale del parto e possa provocare papillomatosi ricorrente giovanile e condilomatosi genitale nel nato, il taglio cesareo non è indicato, a meno di lesioni molto estese, che ostruiscono il canale del parto.

    Vaccini
    Nel caso dell'HPV ci sono due strategie vaccinative: preventiva e terapeutica. La prima ha lo scopo di prevenire l'insorgenza delle infezioni, la seconda (ancora a un livello sperimentale) di curarle quando sono già in atto.
    Per quanto riguarda la prima strategia è già presente sul mercato, e viene distribuito gratuitamente alle ragazze di età inferiore ai 12 anni (in alcune Regioni, come la Basilicata, anche in altre fasce di età), un vaccino transgenico contenente due proteine del capside virale degli HPV 16 e 18 (responsabili del 70% dei tumori al collo dell'utero); si tratta quindi di involucri proteici (L1 e L2) detti PLV (particles like viruses), ossia particelle simili ai virus. Il vaccino è sicuro e completamente privo di virus veri e propri; ha un'efficacia pressoché totale nell'impedire l'infezione di HPV 16 e 18. Esso è inefficace solo nel curare le eventuali infezioni già in atto dei suddetti virus, perché le proteine L1 e L2 sono prodotte solo in una piccola frazione di tempo dell'infezione (quando il virus passa da una cellula uccisa all'altra). I vaccini disponibili sono il Cervarix e il Gardasil.
    Per fare invece un vaccino terapeutico, cioè che curi le infezioni già in atto, si devono produrre delle proteine che vengono sintetizzate durante tutto il ciclo vitale del virus, come per esempio E6 ed E7. A questo scopo si stanno producendo e sperimentando piante transgeniche che producono questi due antigeni (ovviamente con delle mutazioni che li rendono assolutamente sicuri per la salute umana)

    Candidosi
    La candidosi, detta anche candidiasi o moniliasi, è un'infezione da funghi del genere Candida, di cui Candida albicans è il più comune.
    La candidosi comprende le infezioni che vanno dal livello superficiale, come ad esempio il mughetto orale e le vaginiti, a quelle sistemiche potenzialmente mortali. Le infezioni da candida di quest'ultima categoria sono anche denominate candidemia e sono solitamente limitate alle persone gravemente immunocompromesse, come i malati di cancro, i trapiantati, gli affetti da AIDS così come i pazienti non traumatici sottoposti a intervento chirurgico di emergenza.
    Le infezioni superficiali della pelle e delle membrane mucose causate dalla candida, sono responsabili di infiammazioni locali e di sensazioni di disagio in molte popolazioni umane. La malattia è sempre chiaramente imputabile alla presenza degli agenti patogeni opportunisti del genere Candida, ma la candidiasi descrive un numero di sindromi patologiche diverse che spesso differiscono nelle loro cause e nella prognosi.

    Storia
    Il genere e la specie di Candida albicans C. sono stati descritti dalla botanica Christine Marie Berkhout nella sua tesi di dottorato presso l'Università di Utrecht nel 1923. Nel corso degli anni, la classificazione dei generi e delle specie si è evoluta. I nomi obsoleti per questo genere includono Mycotorula e Torulopsis. La specie inoltre è stato conosciuta in passato come Monilia albicans e Oidium albicans. La classificazione attuale è nomen conservandum, il che significa che il nome è autorizzato per l'uso da parte dell'International Botanical Congress (IBC).
    Il genere Candida comprende circa 150 specie diverse, tuttavia, solo poche sono noti per causare infezioni umane. La C. albicans è la specie patogena più significativa. Altre specie patogene Candida nell'uomo comprendono C. tropicalis, C. glabrata, C. krusei, C. parapsilosis, C. dubliniensis e C. lusitaniae.

    Segni e sintomi

    La maggior parte delle infezioni da Candida sono curabili e portano a complicazioni minime, come arrossamento, prurito e fastidio, anche se in certe popolazioni, le complicanze possono avere esiti gravi o addirittura fatali se non opportunamente trattate. In persone immunosoppresse, la candidosi si presenta come un'infezione molto localizzata della pelle o delle membrane mucose, compresa la cavità orale (mughetto), la faringe o l'esofago, del tratto gastrointestinale, della vescica urinaria, o dei genitali (vagina, pene).
    La candidosi è una causa molto comune di irritazione vaginale, o vaginite, e può verificarsi anche sui genitali maschili. Nei pazienti immunocompromessi, le infezioni da Candida può colpire l'esofago e diventare potenzialmente sistemica, causando una condizione molto più grave, un fungemia chiamata candidemia.
    I bambini, per lo più di età compresa tra tre e nove anni di età, possono essere colpiti da infezioni croniche da Candida della bocca, normalmente si presenta come macchie bianche intorno alla bocca.
    I sintomi della candidosi possono variare a seconda della zona interessata. Le infezione della vagina o della vulva possono causare prurito, bruciore, dolore e irritazione. Questi sintomi sono presenti anche nella più comune vaginosi batterica. In uno studio del 2002 pubblicato sul Journal of Obstetrics and Gynecology, solo il 33 per cento delle donne che erano in cura per una infezione da fungo in realtà aveva una infezione funginea, mentre la maggior parte presentava una vaginosi batterica o una infezione di tipo misto.

    Cause
    I lieviti da Candida sono comunemente presenti negli esseri umani e la loro crescita è normalmente limitata dal sistema immunitario umano e da altri microrganismi, come batteri che occupano le stesse posizioni (nicchie) nel corpo umano.
    La C. albicans è stata isolata dalle vagine del 19% delle donne apparentemente sane, cioè quelle che avevano accusato lievi o neussun sintomo di infezione. L'uso esterno di detergenti o lavande o la presenza di disordini interni (ormonali o fisiologici) possono perturbare la normale flora vaginale, costituita da batteri lattici, come i lactobacillus e ciò si traduce in una crescita eccessiva di cellule di Candida che causano i sintomi di infezione, come l'infiammazione locale. La gravidanza e l'uso di contraccettivi orali sono stati segnalati come fattori di rischio, Il diabete mellito e l'uso di antibiotici sono anch'essi legati ad un aumento dell'incidenza di infezioni da lieviti. Una dieta ad alto contenuto di carboidrati semplici può influenzare i tassi di candidosi orale[12] mentre la terapia ormonale sostitutiva e i trattamenti di infertilità possono essere fattori predisponenti. Indossare indumenti bagnati per lungo tempo è considerato un fattore di rischio.
    Un sistema immunitario indebolito o non sviluppato o la presenza di malattie metaboliche come il diabete sono importanti fattori predisponenti di candidosi. Le malattie o le condizioni legate alla candidiasi, comprendono l'AIDS, la mononucleosi, i trattamenti per il cancro, gli steroidi, lo stress e la malnutrizione. Quasi il 15% delle persone con sistema immunitario indebolito sviluppano una malattia sistemica causata dalla Candida. In casi estremi, queste infezioni superficiali della pelle o delle mucose possono entrare nel flusso sanguigno e causare infezioni sistemiche.
    Le cause della candidosi del pene includono: rapporti sessuali con partner infetto, bassa immunità, uso di antibiotici e il diabete. L'infezione genitale maschile è meno comune e l'incidenza è solo una frazione di quello delle donne, tuttavia la trasmissione con rapporti sessuali con un partner infetto non è rara.
    Una maggiore prevalenza di colonizzazione da C. albicans è stata segnalata in soggetti giovani con piercing alla lingua. In tutto l'emisfero occidentale circa il 75% delle femmine sono colpite in un qualche momento della loro vita.

    Prevenzione
    L’infezione da Candida è un’infezione micotica opportunistica che tende a manifestarsi in individui in cui i meccanismi di difesa dell’organismo contro gli agenti patogeni risultano compromessi. Le alterazioni possono essere causate da vari fattori tra cui terapie farmacologiche, lesioni cutanee, presenza di cateteri, condizioni fisiologiche particolari, depressione del sistema immunitario. L’adozione di alcune norme igieniche può essere utile per prevenire l’infezione da Candida a livello cutaneo (es. evitare il contatto prolungato con tessuti sintetici che possono ostacolare una naturale traspirazione della pelle, non abusare di prodotti per l’igiene intima perché possono alterare il pH vaginale, usare il preservativo durante i rapporti sessuali).
    Poiché la Candida è un’infezione frequente in caso di immunosoppressione, nei pazienti con compromissione del sistema immunitario può essere indicato un trattamento profilattico a base di farmaci antimicotici imidazolici o triazolici per via orale per evitare la diffusione di infezioni opportunistiche da Candida.
    Per ridurre il rischio di recidiva dell’infezione è importante seguire le indicazioni relative a dosaggio e durata del trattamento prescritto. La somministrazione infatti di dosaggi subterapeutici può favorire l’insorgere di resistenza, mentre l’interruzione anticipata della terapia può comportare la mancata eradicazione del patogeno. Candidosi resistenti ai trattamenti farmacologici potrebbero sottendere infezioni estese o alterazioni a livello immunitario.
    Anche la dieta sembra influenzare lo sviluppo di Candida: gli alimenti contenenti lieviti, zuccheri, latte e formaggi sono risultati favorire la proliferazione del microrganismo.

    Trattamento
    In ambito clinico, la candidosi è comunemente trattata con antimicotici. I farmaci antifungini comunemente usati per trattare la candidosi sono: clotrimazolo, nistatina, fluconazolo e ketoconazolo topici.
    Ad esempio, una dose di fluconazolo (150 mg assunta per via orale) è stato segnalata come efficace per il 90% nei trattamenti di una infezione vaginale da lievito. Questa dose è efficace solo per le infezioni vaginali da lievito. La somministrazione di dosi elevate di fluconazolo (=/> 400 mg/die per via orale) è stata associata a teratogenesi. Altri tipi di infezioni da lieviti possono richiedere dosaggi diversi. In caso di infezioni gravi l'amfotericina B, il caspofungin o il voriconazolo possono essere utilizzati. Il trattamento locale può comprendere ovuli vaginali o lavande medicate.
    Il risciacquo orale con clorexidina non è raccomandato per il trattamento di candidosi ma è efficace come profilassi. Il risciacquo con biossido di cloro è stato trovato efficace contro la Candida. Nei pazienti di età pediatrica con candidosi orale (mughetto) è possibile effettuare la disinfezione delle mucose tramite garze sterili imbevute di acqua e bicarbonato.
    La C. albicans può sviluppare una resistenza ai farmaci antimicotici. Infezioni ricorrenti possono essere curabili con altri farmaci antifungini, ma si può sviluppare resistenza anche a questi farmaci alternativi.
     
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    La sifilide: un ritorno

    Dal Policlinico "Umberto I" di Roma, Centro delle malattie a trasmissione sessuale, ci giunge un particolare segnale di allarme per una recrudescenza della infezione luetica (o sfilitica) rilevata clinicamente e con dati di laboratorio in soggetti femminili che immigrano dall' Europa dell' Est.

    Nell'ultimo decennio si è registrato un aumento pari al 70%, rispetto agli anni precedenti (Salvatore Pala).

    Su 3000 pazienti visitate annualmente presso il Centro, un terzo è affetto da sifilide.

    Questo dato deve allertare noi ginecologi , che dobbiamo riprendere in considerazione questa infezione, che si presenta ,dopo un periodo di incubazione di circa 10-90 giorni , con una piccola papula rotondeggiante di colorito roseo,che ingrandisce lentamente ,trasformandosi in nodulo e raggiungendo mediamente le dimensioni di 1 cm di diametro.Contemporaneamente la superficie si abrade e il nodulo presenta un'area centrale ulcerata; la lesione è tipicamente indolente, tanto da poter passare innavertita.

    Nella donna il sifiloma passa per lo più innosservato salvo quando si localizza a livello dei genitali esterni: grandi e piccole labbra , clitoride, commessura posteriore e forchetta vulvare.
     
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