| Anais Mitchell - Hadestown
Anais Mitchell nasce nel 1981 nel Vermont, piccolo stato del nord-est con fattorie, boschi, qualche moonlight e poco altro. Mi sono sempre immaginato quella zona degli USA come un posto nel quale c’è un alto rischio di diventare un fanatico di qualche congrega protestante o un personaggio tipo GG Allin. Ah, si, puoi anche fare musica folk e viaggiare un po’ per il mondo, ed è il caso di Anais.
Inizia a scrivere canzoni nei primi anni 2000, appena ventenne. Nel 2010 è la volta di “Hadestown” , terzo album per l’etichetta “righteous babe records” nonché concept che propone una rivisitazione -moderna- del mito greco di Orfeo ed Euridice: la storia è famosa, romantica e struggente al tempo stesso, con il protagonista che scende nell’Ade per ritrovare l’amata uccisa dal morso di un serpente mentre cercava di fuggire da Aristeo (che si era invaghito di lei). Dopo mille peripezie, affiancato dall’inseparabile lira, Orfeo ottiene da Persefone il permesso di riportare Euridice sulla terra, a una condizione: non si sarebbe mai dovuto voltare verso di lei, finché non fossero usciti dall’Ade. Orfeo non resiste e, a pochi metri dalla porta dell’Ade si volta verso Euridice, vedendola scomparire nelle tenebre infernali.
“Hadestown” nasce come un musical teatrale. Anais scrive tutti i testi e le musiche, e recluta vari collaboratori dalla scena folk-rock americana. Ciascuno interpreta un personaggio ben definito: Anais è Euridice, mentre la parte di Orfeo spetta a Justin Vernon (leader dei Bon Iver); Greg Brown interpreta Ade, col suo vocione cavernoso (ottima presentazione in “hey little songbird”), mentre Ani di Franco è Persefone; da ultimo abbiamo Ben Knox Miller nella parte di Hermes e qualche fanciulla a fare i cori. L’album è composto da 20 tracce, alcune delle quali sono intermezzi che collegano le varie canzioni-situazioni su cui i musicisti preparano la scena. La durata media non è elevata e tutti i pezzi sono piacevoli, arrangiati in maniera certosina. E’ orecchiabile e non annoia quasi mai, anche grazie alle varie voci che si alternano, variando il tutto. Varia è anche la strumentazione: chitarra acustica, pianoforte, ottoni, viola e violoncello, vibrafono, fisarmonica e chi più ne ha più ne metta! (cit.) “way down hadestown” e “our lady of the underground” sono i pezzi che mi hanno convinto di più, molto “waitsiani” (in particolare per l’incedere e –per quanto riguarda la seconda- lo stile talking blues). Bene anche “when the chips are down”, con cori, ritmo sostenuto e breve parentesi di piano. Altri cori, quasi da stadio, si hanno in “Why we build the wall”, scanditi dalla voce di Greg Brown. Momenti romantico-sentimentali -ma non per questo brutti- si trovano invece in pezzi come “epic”, “wait for me”, “flowers” (molto delicata, con voce della sola anais e archi di sottofondo), “if it’s true”.
Obiettivamente non c’è una canzone mal eseguita: l’album da questo punto di vista è un gioiello. Se proprio gli devo trovare un difetto è che pecca un po’ di “tradizionalismo”. A volte mi sembra di ascoltare un lavoro fatto per la parrocchia del paese. Curatissimo, fatto da dio, però sempre per la parrocchia del paese, vero centro culturale delle città del Vermont. Non so, forse in qualche episodio potevano osare un po’ di più. Mi piacerebbe vederlo “in scena”, con i musicisti nelle varie parti e una degna scenografia. Sono sicuro che farebbe un altro effetto rispetto all’album, che comunque rimane piacevolissimo.
7,5 |
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