Nebbiolo, il rosso che si trasforma in bianco

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    Nebbiolo, il rosso che si trasforma in bianco

    La nuova tendenza di successo: da uve pregiate nascono extra brut sempre più simili agli champagne

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    Il Nebbiolo? «E’ una grande uva bianca, ma non sa di esserlo». Parola di un enologo di fama come Donato Lanati. Così, dici Nebbiolo e pensi all’austerità del Barolo, all’eleganza del Barbaresco o del Gattinara, vini rossi e longevi che hanno conquistato i palati di tutto il mondo. E magari li associ a un buon arrosto da consumare con i primi freddi, come da secolare tradizione.



    Invece no: con il progetto «Nebbione» l’anima bianca del rosso vitigno piemontese è pronta a svelare tutti i suoi segreti grazie al lancio di un metodo classico extra brut 100% Nebbiolo, ovvero un’esplosione di bollicine chiare e perfette per accompagnare aperitivi e pesci a volontà. Esattamente come il celebre champagne Blanc De Noirs, ottenuto da sole uve a bacca nera come quelle del celebre pinot noir.



    Ancor prima che un vino, «Nebbione» è un’idea, una sfida enologica che raggruppa sei cantine e affonda le proprie radici nella tradizione ottocentesca del Nebbiolo spumante, che ebbe in Carlo Gancia uno dei principali fautori e che oggi sta tornando di moda. Ma è anche il frutto sorprendente di una ricerca rigorosa applicata al grappolo di uva nebbiolo, effettuata dall’enologo Sergio Molino a partire dal 2004. «L’obiettivo iniziale - spiega Molino - era quello di migliorare la qualità dei vini Docg a base Nebbiolo, eliminando le parti del grappolo che meno si adattano alla produzione di grandi rossi».



    La sperimentazione lo ha portato ad accorgersi che il grappolo, privato della punta inferiore, permette di produrre un Barolo o un Gattinara di migliore qualità. Da qui la necessità di tagliarne la punta, le cui caratteristiche si presentano più simili a quelle di un’uva bianca, con bassa quantità di zuccheri e tratti spiccatamente minerali. «Eliminando la punta del grappolo, si crea uno scarto - spiega Molino -. Ma è pur sempre lo scarto di un’uva pregiata, di un Nebbiolo destinato alla produzione di grandi vini». Ed ecco l’intuizione: produrre, con ciò che rimarrebbe a terra, un metodo classico pregiato, un extra brut vicino ai più grandi spumanti francesi per concezione, vinificazione e qualità.



    Ci hanno creduto sei cantine: Travaglini di Gattinara e poi Cantina Reverdito, Enrico Rivetto, Franco Conterno (Sciulun), Cascina Ballarin nelle Langhe e La Kiuva valdostana. Nel 2010 hanno prodotto le prime 12mila bottiglie di metodo classico 100% Nebbiolo, che deve stazionare almeno 40 mesi sui lieviti. Ora, dopo cinque anni, sono pronte a presentare il frutto del loro lavoro. E chi ha fatto i primi assaggi è rimasto sorpreso dalla sua personalità. «Nebbione» è un marchio registrato, ma per adesso non comparirà in etichetta. Ogni azienda ha scelto un suo nome: Travaglini ha sommato Nebbiolo e bolle e ha scelto «Nebolè», Rivetto ha puntato sull’esotico «Kaskal», Conterno sul pragmatico «NaPunta». Tutti con una sola convinzione: da un grande vitigno rosso può nascere un grande vino bianco.

    «L’uso delle uve a bacca nera per realizzare spumanti metodo classico non è certo una novità, a partire dal noto pinot noir», dice il critico Giancarlo Gariglio della guida Slowine. E cita l’Alta Langa di Ettore Germano e l’Erpacrife realizzati con il Nebbiolo, ma anche l’Aglianico spumante della campana Feudi di San Gregorio e le tante versioni brut del Sangiovese toscano. «Molto interessante e virtuosa, invece, è l’idea di utilizzare la parte dei grappoli che andrebbero buttati via con il diradamento. Siamo curiosi di scoprire quale sarà l’esito in bottiglia. Anche con questo progetto il Piemonte sembra sempre più determinato a riprendersi lo scettro sul vino metodo classico che aveva inventato nelle sue cantine quasi due secoli fa».

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