In Cina distrutte pubblicamente 6,1 tonnellate di avorio illegale

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    Madre, donna, lesbica. What else?

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    Culla Bianconera

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    In Cina distrutte pubblicamente 6,1 tonnellate di avorio illegale

    Il Wwf: anche l’Italia dovrebbe fare lo stesso

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    In Cina, nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica contro il bracconaggio degli elefanti, i funzionari di Guangzhou, nella provincia del Guangdong, hanno distrutto pubblicamente oltre sei tonnellate d’avorio confiscate. L’evento, a cui hanno partecipato rappresentanti di dieci paesi - tra cui Regno Unito, Kenya, Gabon e Tanzania - è stato accolto con favore dai gruppi ambientalisti.



    Come riporta il Guardian, Patrick Bergin, amministratore delegato dell’African Wildlife Foundation, ha dichiarato che «il governo cinese è da lodare per l’iniziativa. È stato un coraggioso e fondamentale primo passo per elevare a livello mondiale il dibattito sulla questione del traffico di fauna selvatica e sul bracconaggio di elefante».



    I dati rivelano come negli ultimi anni il fenomeno abbia raggiunto livelli da record, arrivando al picco di 25.000 uccisioni nel 2011 e 22.000 del 2012. Risultati allarmanti che porteranno, secondo le associazioni, alla perdita in Africa di un quinto degli elefanti nei prossimi dieci anni. Per quanto riguarda il traffico illegale di avorio collegato al fenomeno, solamente nel 2013 ne sono state sequestrate in totale 41,6 tonnellate e la Cina in particolare è ritenuta essere il più grande mercato al mondo per l’avorio. In Cina, infatti, il possesso del materiale ricavato dalle zanne degli elefanti viene ancora oggi considerato uno status symbol.
     
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    Dio li fa, Chuck Norris li distrugge, Mc Gaiver li aggiusta

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    In manette la regina dell’avorio. E la Cina si scopre animalista

    Arrestata in Tanzania la più potente trafficante di zanne. Musicisti e star del basket guidano il cambiamento di mentalità

    09/10/2015
    ilaria maria sala
    hong kong

    È conosciuta come la «Regina dell’avorio», e pochi si dispiaceranno della fine della sua carriera: Yang Feng Glan, 66 anni, nata a Pechino ma da anni in Africa, è considerata la responsabile della morte di centinaia di elefanti e il suo arresto, avvenuto ieri in Tanzania, è stato accolto con sollievo da chi si batte per la protezione degli animali in tutti i continenti.

    Yang sarebbe la «mandante» dell’uccisione di almeno 350 elefanti, abbattuti per le loro zanne d’avorio di cui ancora oggi, malgrado anni di lotte al traffico illegale e campagne di sensibilizzazione, la Cina è ghiotta. Dopo un’operazione di polizia durata più di un anno, e appena una settimana dopo l’arresto di un’altra nota nemica degli elefanti, Li Lingling, Yang è stata finalmente arrestata nel corso di una retata a Dar-es-Salaam, grande città portuale nell’est della Tanzania.

    Ora la donna è stata formalmente accusata di contrabbando d’avorio e multata per l’equivalente di 1,8 milioni di euro mentre è in attesa di processo. Rischia fino a trent’anni di carcere. Secondo l’accusa, Yang sarebbe stata il legame diretto fra i bracconieri africani e i contrabbandieri cinesi in questo traffico barbaro e crudele che ha visto la Tanzania perdere 8500 elefanti negli ultimi sei anni, stando al calcolo dell’Ong «Elephant Action League».

    La nascita del business
    La sua è stata una carriera (se così possiamo chiamarla) del tutto fuori dal comune: negli Anni 70 Yang fu la prima cinese a laurearsi in Swahili. Nel 1975 parte per l’Africa per lavorare come interprete nel grandioso progetto comune fra la Cina e l’Africa che diede vita alla ferrovia Tazara, costruita grazie a fondi e know how cinese, e che collega la Tanzania allo Zambia.

    Finita la ferrovia, Yang rimane però in Africa, dedicandosi poi al ben più lucrativo commercio illegale dell’avorio, pur possedendo anche il più grande ristorante cinese di Dar-es-Salaam, e diventando Segretario generale dell’Associazione della Tanzania per il Commercio Sino-Africano.

    Bando del commercio
    L’arresto di Yang rappresenta indubbiamente una vittoria per chi si batte per la protezione degli elefanti. Ma non solo. É anche la concretizzazione di un profondo cambiamento in corso in Cina: in modo lento, non uniforme e ancora pieno di gravi lacune, ma non di meno percepibile e importante, anche la Cina sta cominciando a modificare il modo in cui vede e tratta gli animali in generale, e gli elefanti in particolare. Proprio due settimane fa, nel corso della visita del presidente cinese Xi Jinping negli Stati Uniti, i due Paesi hanno firmato un accordo insperato per arrivare a una messa al bando «quasi totale» del commercio di avorio, che segue nei fatti la dichiarazione di intenti pronunciata lo scorso maggio da Pechino, che aveva assicurato di voler diminuire il suo consumo d’avorio, il più significativo al mondo.

    I cuccioli entrano in casa
    E se la novità era stata accolta con un certo scetticismo dalla maggioranza dei cinesi, altri avevano deciso di celebrarla di cuore: come Shay, nome d’arte di Xie Zheng, un musicista pechinese che è anche il fondatore del gruppo Bie Chi Pengyou, «Non mangiamo gli amici», la più attiva organizzazione non governativa per la promozione del vegetarianesimo e la protezione degli animali che ci sia in Cina. Anche nomi pesanti come quello di Yao Ming, l’ex stella del basket Nba, si impegnano da anni per educare il pubblico a una maggiore consapevolezza della necessità di rispettare gli animali. Le loro voci hanno un’eco sempre maggiore e fanno presa soprattutto fra i giovani cinesi dei grandi centri urbani, fra i quali è sempre più normale e desiderabile tenere in casa un cucciolo, e scambiarsi foto di gatti e cani sui social network, come tutti i ragazzi della loro età.


    Strade opposte
    La strada da fare è ancora lunga, e piena di contraddizioni: solo nel 2008 Pechino ha aperto la fabbrica di intaglio d’avorio più grande del mondo, procedendo ad importarne 73 tonnellate. Ma grazie alla crescente opposizione interna a questo tipo di prodotto e agli accordi internazionali che le cose dovrebbero cominciare a cambiare per gli elefanti africani. E l’arresto di Yang e degli altri membri della sua squadra toglie di torno alcuni dei nemici più spietati dei pachidermi africani.

    La Stampa
     
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