1000 ways to die: un’occhiata alle statistiche di Metal Archives

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    1000 ways to die: un’occhiata alle statistiche di Metal Archives





    Nell’era pre-internet, quando uscivo a comprare il giornale ogni mattina, la prima pagina che andavo a guardare era quella dei necrologi, poi passavo alle notizie di cronaca nera e solo dopo alle pagine di politica ed economia. Sarà stato merito del metallo e della fascinazione per certe tematiche, boh, vallo a capire. Ad ogni modo, il ‘vizietto’ non mi ha ancora abbandonato, tanto che sovente dò una scorsa alla sezione R.I.P. di Metal Archives dove scopro che un metallaro può morire in un’infinità di modi diversi, tipo per colpa della febbre dengue che è una malattia infettiva tropicale trasmessa dalla puntura di una zanzara, una roba da sud del mondo del secolo scorso. Praticamente, all’apparenza sembra un semplice morbillo, poi ti gonfi di liquidi e poi ti vengono delle emorragie devastanti che ti finiscono in breve tempo, perché ad essa non c’è rimedio, né vaccino. Pare che il termine in swahili significhi tipo ‘spirito maligno’ e una morte black metal non è forse il sogno di tutti? Era anche soprannominata febbre dandy (quando a contrarla erano gli schiavi delle Indie Occidentali) o febbre spaccaossa. C’è pure un tizio che è morto di tifo. E allora mi sono messo a fare le cose per bene e coi dati degli ultimi dieci anni alla mano è venuto fuori che… Di morti violente, come immaginabile, ce ne sono un casino: omicidi a sfare, alcuni sparati dalla polizia, altri che si sparano da soli per sbaglio, i sequestrati, i rapinati, un “drug induced homicide”, c’è anche un poveraccio che è morto nell’attentato di Utøya, poi quello strangolato, quello picchiato a morte, gli accoltellati, quello “hit by drunk driver” (o “by a truck” pure se ne contano), incidenti in macchina (un vero olocausto), quello fulminato da un “electric shock” mentre suonava dal vivo. Ah, i morti correlati ad eventi live. Ci stanno, per esempio, quei sette poveracci rumeni morti bruciati in un incendio scoppiato all’interno di un locale di Bucharest a causa di un problema coi giochi pirotecnici che ha provocato un rogo che ha fatto fuori una trentina di persone in totale. Ci stanno pure quei due brasiliani bruciati vivi in un evento simile. E qui la mente vola a quella serata di parecchi anni fa, se non ricordo male all’Alpheus, con i romani Stormlord, quando uno della band, mi pare Borchi stesso, si mise a fare il mangiafuoco. E insomma, si poteva finire tutti come i rumeni del Colectiv Club di Bucharest. Di morti per droga & affini ce ne sono poi una marea e si va dalla classica cocaina, al metadone, all’abuso di GHB, la droga da stupro, come Jens Blomdal dei Diabolical (e qui bisognerebbe indagare un attimo cosa cavolo è successo veramente), ma anche più dettagliate morti per “accidental prescription drug overdose”, o per “accidental mixture of alcohol and medication” (accidentale, attenzione), o più semplici “complications from heroin addiction relapse”, ma pure cirrosi, fegati e milze spappolate etc. Poi c’è la categoria dei caduti: caduti da un ponte, caduti da un palazzo (come il valoroso William Tolley degli Internal Bleeding nell’esercizio delle sue funzioni di vigile del fuoco), sotto la metro, sotto al treno, ma anche dalla bicicletta (e qui inizia la categoria degli sportivi), come il povero Kevin McCready dei mitologici Witchfinder General, o dalla moto, quanti ce ne sono di morti per cadute dalla moto non me ne capacito (pure dallo scooter, come il meschino Brian Redman dei 3 Inches of Blood),quelli che cadono da una montagna facendo trekking o arrampicata, o che cadono dallo skateboard (e muoiono) e così via. Ma il più doom di tutti rimane quello “drowned during canoeing trip”.

    Gli affogati, dunque. Anche loro sono una cifra cospicua. E qui mi immagino sempre il finlandese ubriaco che, mentre torna a casa dopo una sbronza cosmica, prende uno scivolone, finisce nell’acqua ghiacciata e affoga senza accorgersi di nulla, tipo Somnium, il chitarrista dei Finntroll. E invece negli ultimi dieci anni non c’è manco un finlandese morto ubriaco nell’acqua ghiacciata, almeno secondo le statistiche di MA. A ‘sto punto, smettendola per un attimo di fare i burloni, è necessario passare al capitolo ‘suicidi’, che poi questo pezzo è nato proprio dal fatto che volevo togliermi una curiosità e capire se il mito dei metallari scandinavi che la fanno finita per colpa delle condizioni di vita nel Nord fosse ancora attuale. Anche qui mi immaginavo lo stereotipo del finlandese, tipo quello di prima (Mika Luttinen speculava che nel caso di Somnium si trattasse di suicidio), invece niente anche stavolta: dei circa 190 musicisti heavy metal (ma anche membri dello staff, fonici e tutti coloro che ruotano intorno alle band) morti per suicidio negli ultimi dieci anni solo 19 sono scandinavi, con in testa la Svezia, poi la Norvegia e la Finlandia solo all’ultimo posto del podio. Correva voce secondo la quale, per non incentivare i casi di emulazione, i governi nordici imponessero dei limiti alla stampa nel pubblicizzare gli atti di suicidio e chissà se tra le 46 cause di decesso non ufficialmente assegnate, che figurano nelle statistiche scandinave, ci sia finito in mezzo qualcuno di questi. L’Italia, da sola, ne conta 12 in totale e sopra di noi c’è solo il Brasile con 13 e gli Stati Uniti con 62, ma data la vastità demografica e del territorio, anche se si tratta di un numero comunque enorme, ci può stare che le statistiche degli USA siano così pesanti. Quindi, secondo me, è proprio quello italiano il dato veramente inquietante, su cui si potrebbe fare un vero approfondimento. (Charles)



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